mercoledì 10 novembre 2021
Con un caso positivo si resta tutti in classe. Con due solo i vaccinati. La Dad è prevista solo da tre positivi in su. Lo ha annunciato qualche giorno fa il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. D’altra parte, qualche rischio aggiuntivo di contagio deve essere pur preso, anche dagli studenti e dai docenti che non hanno ancora potuto fare la terza dose, pur di evitare la Dad, che secondo la maggior parte dei politici e dei giornalisti nostrani è la causa principale del malessere in cui versa la nostra scuola, o perlomeno della sua scarsa efficienza durante la pandemia. Questo malessere ebbe inizio con il Dpcm del 4 marzo 2020, in cui venne decretata la sospensione della didattica in presenza per contenere l’emergenza epidemiologica da Covid-19. Fino alla fine dell’anno scolastico, la didattica fu a distanza, e secondo alcune indagini statistiche questa non avrebbe fornito buoni risultati. In particolare, secondo una che ha coinvolto 246 istituti e 73.286 studenti di quarta e quinta superiore, il carico di studio, la sua efficacia e la capacità di concentrazione sarebbero decisamente diminuiti. Terminato l’anno scolastico, il 79,6 per cento degli studenti intervistati ebbe infatti a dichiarare che durante la didattica a distanza i compiti erano aumentati rispetto alle lezioni tradizionali e solo il 31,6 per cento riteneva che sarebbe stato utile continuare a usare la Dad, insieme alle lezioni in aula, anche dopo l’emergenza del Covid-19, mentre il 42,8 per cento pensava di non avere una preparazione adeguata per affrontare il prossimo anno scolastico o l’Esame di Stato.
Anche le prove Invalsi non fornirono esiti confortanti. Nonostante che Roberto Ricci, responsabile dell’area prove Invalsi, abbia dichiarato, nel luglio scorso, che “è del tutto inappropriato attribuire i risultati presentati alla Dad, che non è corretto e non ci permette di capire bene cosa si può fare, anzi, cos’è necessario fare”, e nonostante l’ammissione che per valutare e misurare una competenza in maniera più completa servirebbero più prove, e di natura diversa, dato che quelle somministrate erano idonee a verificare solo alcune specifiche conoscenze e abilità, i numeri relativi all’anno scolastico in cui è stata adottata la Dad sono ai più sembrati inclementi. Per quanto riguarda la scuola primaria, che è quella che ha chiuso meno durante la pandemia, i dati sono molto simili a quelli riscontrati nel 2019; ma nelle scuole medie il 39 per cento degli studenti non ha raggiunto risultati confortanti, con un calo percentuale dei “risultati adeguati”, sia in italiano che in matematica, del 5 per cento rispetto al 2019. Alle superiori le cose sembrano essere andate ancora peggio, facendo registrare un 9 per cento di preparazioni inadeguate in più sia in italiano sia in matematica, mentre sia alle medie inferiori che alle superiori il peggioramento è stato assai meno pronunciato in inglese. Vi sono comunque riscontri diversi in relazione ai territori e ai differenti contesti socioeconomici: alle superiori, per esempio, le perdite maggiori di apprendimento si registrano per lo più tra gli allievi che provengono da contesti socio-economico-culturali più sfavorevoli e nelle regioni del Mezzogiorno. Come interpretare dunque questi dati?
Cristiano Corsini, professore all’Università di Roma Tre di docimologia, in un’intervista concessa a Pagella Politica spiega che la prima cosa da osservare è che i risultati Invalsi più recenti “non sono qualcosa di nuovo: sono anni che abbiamo dati simili. Prima delle Invalsi, a partire dagli anni Settanta, avevamo più o meno gli stessi dati sulla base di varie indagini internazionali condotte in Italia, su diversi ambiti disciplinari: le percentuali da decenni sono più o meno sempre le stesse. Ogni anno si parla di un tracollo, ma se fosse vero, e sono passati cinquant’anni, si sarebbe toccato il fondo. C’è invece una certa stabilità che riguarda le aree geografiche e l’elemento che si conserva è sempre la correlazione tra il rendimento e lo stato socio–economico”.
Alla luce di questi dati, la didattica a distanza può essere ritenuta responsabile del calo dei numeri registrato nell’anno scolastico 2020-2021? “Prendendo per buone e valide le rilevazioni Invalsi, quello che si vede non è stato uno spostamento decisivo, nonostante ci sia stato un cataclisma – ha detto, sempre a Pagella Politica, Andrea Mariuzzo, docente di Storia della pedagogia all’Università degli Studi di Modena e di Reggio Emilia: “le difficoltà registrate sono date dal contesto pandemico, non esclusivamente dalla didattica a distanza. Ciò che emerge è un problema profondo di disuguaglianze, dove la Dad ha funzionato meglio in famiglie che vivono in determinate condizioni sociali”.
Del resto, l’obiettivo delle prove Invalsi dell’anno scolastico 2020-2021 non era quello di valutare e quantificare l’efficacia della didattica a distanza. Leggere i nuovi risultati in chiave, per così dire, “anti-Dad” rischia di rivelarsi fuorviante, perché manca l’analisi delle possibili cause dei dati in ribasso. Come sottolinea ancora il professor Corsini, “noi sappiamo che c’è una notevole correlazione con lo stato socio-economico e che questa correlazione si è mantenuta anche con la didattica a distanza. Come facciamo a separare qual è l’impatto della didattica a distanza e qual è l’impatto della pandemia? Non è possibile saperlo. Possiamo essere rozzi e dire: “la Dad è la causa dei nuovi dati”. Ma stiamo vivendo una situazione complessa, che ha più cause. Ricercare un’unica causa è comodo: oggi è la didattica a distanza, ma prima della pandemia la causa sembrava essere la didattica in presenza, che ora all’improvviso sembra invece funzionare”.
Nonostante queste considerazioni, quando il 14 luglio sono stati pubblicati i risultati delle prove Invalsi relative all’anno scolastico 2020-2021, molti politici, ma anche molti giornalisti, hanno fatto a gara a criticare la didattica a distanza, denunciando uno scenario in cui quasi uno studente su due non avrebbe raggiunto una preparazione minima in materie fondamentali come l’italiano e la matematica, senza tener conto che un simile scenario potrebbe tuttavia essere scaturito anche da un’altra ragione fondamentale, su cui quasi nessuno si è soffermato.
Nel marzo 2020 la ministra Lucia Azzolina annunciò infatti che l’anno scolastico sarebbe continuato in DaD, promettendo anche che avrebbe aumentato gli sforzi per fare arrivare tablet e device alle famiglie meno abbienti, che rischiavano altrimenti di restare tagliate fuori dalla scuola virtuale (come poi si è puntualmente verificato, anche perché si preferì investire una parte dei soldi in banchi a rotelle piuttosto che in tablet); ma la ministra annunciò anche che a giugno tutti gli studenti sarebbero stati promossi. Certo, se uno studente avesse meritato 8 avrebbe preso 8, e 5 meritando 5, ma la promozione, almeno per quell’anno, sarebbe stata garantita a tutti, e chi fosse risultato insufficiente avrebbe recuperato l’anno successivo “con attività individualizzate”.
Ora, chiunque abbia un minimo di esperienza didattica sa che un simile annuncio non può che determinare la tendenza a un relativo disimpegno, che sarà sicuramente più pronunciato per gli studenti che sono già poco motivati e più fragili, sia sotto il profilo psicologico sia sotto quello socioeconomico e culturale. Oltretutto, quest’affrettata comunicazione da parte della ministra ebbe i suoi effetti nel contesto del lockdown, che per molti giovani costituiva già una circostanza già particolarmente “depressiva”, moltiplicandone le conseguenze anche in ambito scolastico e inducendo in alcuni un certo disimpegno. Eppure, di quest’intreccio di circostanze non si è tenuto conto e in molti hanno continuato a parlare dei risultati insoddisfacenti della Dad, dando per scontato che proprio lei fosse la principale responsabile della diminuzione della preparazione degli studenti.
Si è visto che per molti addetti ai lavori, ma anche per molte persone dotate di buon senso, non è esattamente così. Per capire se la Dad può essere ritenuta responsabile di quanto accaduto alla preparazione dei nostri studenti sarebbe infatti necessario un esperimento difficile da realizzare, ma di cui si può facilmente immaginare l’esito: in tempi di lockdown, ovvero con ragazzi chiusi in casa anche di pomeriggio e di sera per tre mesi, mentre si continua però con la scuola in presenza, e quindi con le mascherine e le regole di distanziamento attuali, si potrebbe annunciare che a giugno si sarà comunque promossi e che le eventuali insufficienze potranno essere recuperate l’anno successivo con “attività individualizzate”; e poi stare a vedere cosa succede nei tre mesi successivi. Solo confrontando i risultati di quest’esperimento improbabile con quelli scaturiti dalla prima esperienza di didattica a distanza della storia si potrebbe arrivare a un riscontro abbastanza oggettivo. Nel frattempo, in attesa di poter un giorno attuare un simile esperimento, chiunque sia stato nella scuola per qualche anno non può essere sorpreso da quanto è successo dopo quell’annuncio della ministra Azzolina: una diminuzione della percentuale delle preparazioni adeguate compresa tra il 5 per cento delle medie inferiori e il 9 per cento delle medie superiori non può che risultare ragionevole e prevedibile.
Ma allora perché politici e giornalisti continuano a grande maggioranza ad attribuire alla Dad ogni responsabilità? Certo, la scuola è per sua natura in presenza, perché la componente legata alla socializzazione è comunque fondamentale e imprescindibile. Ma qui stavamo parlando di risultati nella preparazione. E allora perché avercela tanto con la Dad quando non esistono prove attendibili che sia proprio le la colpevole? Una possibile spiegazione potrebbe essere la seguente: la Dad è piuttosto invisa alla maggioranza dei genitori con i figli in età scolare perché poco compatibile con i loro orari di lavoro e perché scarica sulle famiglie una buona parte dell’azione didattica. I partiti sanno dunque molto bene che per accattivarsi le simpatie di quest’ampia maggioranza di cittadini bisogna evitare il ritorno in Dad, e per farlo non c’è niente di meglio che scatenare un movimento d’opinione che, facendo leva sul disagio delle famiglie, fornisca al loro risentimento verso le Dad delle basi scientifiche, trasformandola nel principale capro espiatorio di tutti i problemi emersi nella scuola durante la pandemia e decretandone il fallimento. Essendo il male della scuola – di quella stessa scuola dove si legge di meno in Europa e che ha da molti anni pessimi risultati in discipline come l’italiano, l’inglese e la matematica – il ritorno in Dad va infatti assolutamente evitato, anche a costo di continuare a fare lezioni in presenza con due positivi al Covid per classe, con i rischi aggiuntivi che questa scelta comporta.
di Gustavo Micheletti