Le innovazioni nel condominio

venerdì 5 novembre 2021


Sul presupposto che può essere interesse dei partecipanti al condominio migliorare o rendere più comodo l’utilizzo della struttura originaria dell’edificio, l’articolo 1120 del Codice civile prevede, al primo comma, la possibilità per i condòmini di disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni, deliberando con la maggioranza di cui al quinto comma dell’articolo 1136 del Codice civile. Vale a dire con un quorum, in prima e seconda convocazione, costituito da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell’edificio (sempre fermi, naturalmente, i quorum costitutivi di cui al primo e terzo comma del medesimo articolo 1136 del Codice civile). Lo stesso articolo prosegue, al secondo comma, elencando una serie di innovazioni che il legislatore ha ritenuto particolarmente meritevoli di tutela, tanto da poter essere deliberate con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del Codice civile.

Con un quorum deliberativo, cioè, più basso (in quanto costituito, in prima e seconda convocazione, da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio) rispetto a quello ordinario di cui al primo comma. Il terzo comma dell’articolo 1120, prescrive, poi, che l’amministratore convochi l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condòmino interessato all’adozione delle deliberazioni aventi ad oggetto le innovazioni appena elencate. La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. Ove così non avvenga, l’amministratore dovrà invitare senza indugio il condòmino proponente a fornire le necessarie integrazioni.

L’ultimo comma della norma in parola, infine, vieta le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condòmino. Tanto precisato, ciò che interessa evidenziare, in questa sede, è che per innovazione – secondo la giurisprudenza – non è da intendersi qualsiasi modificazione della cosa comune, ma soltanto una nuova opera che alteri l’entità materiale della cosa, nella forma e nella sostanza, per favorire e aumentare la funzionalità ed il valore dell’edificio in condominio (fra le altre, la sentenza della Cassazione n. 8622 del 29 agosto 1998).

(*) Presidente Centro studi Confedilizia


di Corrado Sforza Fogliani (*)