Il ritorno del capro espiatorio all’ombra della pandemia

mercoledì 6 ottobre 2021


Oggi una persona completamente sana (che “liberamente” decide di non sottoporsi a vaccinazione) viene considerata potenzialmente malata. Un untore come nei capitoli della peste de I Promessi Sposi o nella Storia della colonna infame del Manzoni.  E non esiste nessun “rapporto di minoranza”, al contrario dei romanzi di Philip K. Dick, per questo “pre-crimine”. Siamo ormai oltre la fantascienza e le distopie più nefaste. Mentre il vecchio “divide et impera” è ancora un’arma perfetta per regnare, scatenando gli istinti peggiori del popolo in lotta fratricida. Dov’è finito il politicamente corretto (quello che ha ispirato il Ddl Zan nella fattispecie)? L’emarginazione e le discriminazioni corrono veloci anche  tra i banchi di scuola, tra vaccinati e non vaccinati, come in un reality show ferale, tra l’indifferenza dei docenti. Mentre le conferenze su bullismo e cyber-bullismo continuano a riempire il vuoto di auditorium e aule scolastiche o virtuali. Un governo sadico è arbitro (parziale) di questo circo postmoderno, dove non occorre recarsi nell’arena per vedere leoni affamati che sbranano schiavi inermi. La stampa di regime fomenta, con violento parossismo, la caccia alle streghe contro i cosiddetti No vax, sui quali sembra allungarsi, drammaticamente, l’ombra del capro espiatorio.

Sono in tanti (e tante) a gonfiare i pettorali, in preda a erezioni tardive ed eiaculazioni precoci. Eccitati dall’hard power del governo Draghi, sognando lo stato etico che “sorveglia e punisce”. E neppure la premiata ditta Conte-Speranza poté tanto. Eppure sono in tanti, e competenti, a chiedere un uso moderato del potere, a richiamare alla razionalità, nonostante o, forse, soprattutto per via dello stato di emergenza. Sono in tanti a rifiutare la ghettizzazione imposta da una delle leggi più ottusamente autoritarie del secondo dopo guerra. Altri temono, giustamente, che questo tentativo maldestro di imporre surrettiziamente un obbligo vaccinale possa trasformarsi, persino, in un passo falso dei Pro vax. Mentre i No vax segnerebbero il primo punto a loro favore. Ma, forse, sarebbe un punto anche per il partito di chi vuole ragionare al di là di facili riduzioni (Pro o No vax). La realtà è sempre più complessa e prima o poi presenta il suo conto. Polarizzare, fomentare lo scontro, ridurre al semplicismo binario, è tipico del fanatismo e del fondamentalismo.

E così, oggi, è impensabile che ci possano essere vaccini efficaci e meno efficaci. Non esiste una gradualità di efficacia, esiste soltanto, nella propaganda fondamentalista, il vaccino come entità astratta e metafisica, come rimedio assoluto. Eppure la parola farmaco, dal greco antico pharmakos, non significa, a un tempo, veleno e rimedio? La violenza di questa logica binaria al servizio della propaganda di regime ha trasformato uno scienziato come Giulio Tarro, in un “No vax”. Un capro espiatorio. E, allo stesso modo, viene etichettato chiunque: scettico, indeciso o coscienza critica, non rientri in schemi netti e definiti. In questo particolare contesto storico non si può non evocare il pensiero e l’opera di uno dei massimi pensatori contemporanei: René Girard. L’opera di Girard sembra costituire un “monolito” che contiene due elementi fondamentali: La teoria del “sacrificio” e la teoria del “desiderio mimetico”. Nonostante sia proiettato verso il futuro, l’uomo dell’era planetaria serba ancora intatta la memoria della propria animalità preistorica, della propria immersione in una ritualità che affonda le radici nella notte dei tempi. La notte che ha visto l’alba dell’origine della cultura a spese di una vittima innocente, sacrificata per ripristinare un ordine “sociale” perduto ma che, in maniera paradossale, non avrebbe ragione di esistere senza quello stesso sacrificio.

Il Cristianesimo girardiano è un’ esperienza apocalittica dove “più si va verso un mondo in cui il rito è morto, più quel mondo si fa pericoloso”. Un mondo senza il sacro e la violenza è, paradossalmente, un mondo più pericoloso, perché non ha più i mezzi e i riti per esorcizzare la stessa violenza. In tal senso anche la “guerra fredda” postmoderna potrebbe essere letta come un residuo dell’ordine sacrificale. Il sentimento della fine che porta con sé il cristianesimo apocalittico è, tuttavia, “ben lontano”, come afferma Girard, dalla fine della storia, annunciata da Fukuyama, come “ultimo virgulto dell’ottimismo hegeliano”. Il cristianesimo desacralizza la “falsa trascendenza” del meccanismo vittimario, esponendo il mondo (ormai privo del meccanismo di protezione sacrificale) ad una violenza tanto inusitata quanto inedita, il cui epilogo non promette alcun lieto fine. La riflessione girardiana, a questo punto, sembra aggrovigliarsi in una sorta di nodo gordiano. Senza un’apparente via d’uscita. Sarebbe, infatti, la violenza del sacro sconfitto dal cristianesimo a garantire ancora, paradossalmente, la pace.

È nel più recente Achever Clausewitz (Portando Clausewitz all’estremo, in traduzione italiana) che Girard teorizza una “ragione apocalittica” portando alle sue estreme conseguenze le tesi espresse dal generale prussiano nel suo trattato Della guerra. Siamo qui di fronte all’ultimo Girard, quello che teorizza un Papa imperatore alla guida di una nuova “Europa spirituale” in grado di salvaguardare la razionalità (e la civiltà) occidentale. Una razionalità dove la fede dialoghi con la ragione e dove la religiosità giudeo-cristiana possa convivere con la filosofia nata in Grecia. Un Papa condottiero di una Chiesa custode della Rivelazione che con una mano “rivela”, e con l’altra occulta, copre, dissimula. Con una “dissimulazione onesta”, finalizzata ad esorcizzare l’apocalisse e la tendenza all’estremo sdoganate dalla rivelazione cristiana. E neppure Dante – esplicitamente citato da Girard – avrebbe osato tanto. Lui che, guelfo bianco, aspettava un imperatore messia che salvasse la Chiesa del suo tempo dalla corruzione. Il ragionamento girardiano si fa dunque tortuoso e, incapace di intravedere soluzioni migliori, si accontenta del dogma dell’infallibilità papale, con espliciti richiami a de Maistre e con un’intensa perorazione del discorso di Ratisbona, pronunciato da Benedetto XVI in un momento storico delicato di lotta al terrorismo planetario. Ma forse, col senno di poi, potremmo recuperare l’importanza di quel richiamo alla razionalità occidentale e al cristianesimo liberale.

Forse è in una Roma con due Papi, controcanto alla profezia di Morselli, che si gioca il futuro di una umanità a un bivio: il compimento del processo di secolarizzazione, declinato in salsa ecologica e globalista da Papa Francesco, oppure un ritorno alla tradizione che recuperi i valori della razionalità e della fede dell’umanesimo occidentale, per il rilancio di un’Europa spirituale (e torna in mente anche Husserl), come nella riflessione di Papa Benedetto. Il tema del sacrificio è così importante e pervasivo da contrassegnare tutta la cultura  e letteratura postmoderna, dal Malaussene di Pennac, di professione capro espiatorio proprio con riferimento a Girard, al Fantozzi di Villaggio (indimenticabile la scena parodica della crocifissione in sala mensa) che, cronologicamente, anticipa persino l’intuizione antropologica girardiana. Ed è il crimine dell’amministrazione della giustizia che nasconde l’iniquità e la violenza del potere (allora come oggi), raccontato da Manzoni ne La storia della colonna infame, straordinaria cartina al tornasole per decifrare anche il nostro presente. Un presente tragico, dove la peste è ancora colpa degli untori.


di Nino Arrigo