Contro i femminicidi la crociata dei valori

venerdì 10 settembre 2021


“Negli ultimi quattro giorni, due donne uccise ed una in fin di vita. È l’Italia del 2021. E come se non bastasse la terribile scia di sangue femminile, ci si mette anche l’informazione. Si chiama vittimizzazione secondaria. È accaduto a Chiara Ugolini”. La mattanza non si ferma e non rallenta: 90 donne da gennaio e 3 solo nell’ultima settimana. Altrove non va meglio: in Afghanistan stanno picchiando, torturando e giustiziando decine di donne che si erano ribellate ai ruoli tradizionali. Il mondo femminile della sinistra è in subbuglio su ogni confine. E così l’ultima crociata di Laura Boldrini non è più solo contro i maschi assassini e i mariti talebani, ma contro la narrazione.

Secondo la parlamentare piddina se i giornali la smettessero di ricamare non avremmo tutte queste stragi: “Le donne continueranno a morire per mano maschile finché, accanto alle leggi e alla prevenzione, non realizzeremo un cambiamento della mentalità, che è anche del linguaggio, abbandonando stereotipi e pregiudizi legati alla cultura del possesso e alla misoginia”. Secondo questa pasdaran e le sue militanti prima erano i fascisti, dopo i serial killer, poi l’educazione borghese e cattolica, quindi il capitalismo e l’edonismo, infine i pregiudizi, le catene del sesso e i maschi padroni, ma ora è il linguaggio la radice del male.

“Una vittima la si può offendere anche dopo morta con la narrazione distorta del suo assassino, la si può offendere estetizzandone ed erotizzandone la morte”, ha accusato Nadia Somma, attivista di Demetra, sul Fatto Quotidiano. E in una nota l’associazione D.i.Re donne in rete” ha incalzato: “La parola femminicidio non compare quasi mai. Piuttosto si insiste sull’aspetto fisico sottolineando la bellezza, immaginando l’ultimo pomeriggio di vita, insistendo sul top o sul reggiseno dopo la doccia”. Stavolta nel mirino ci sono i giornali e anche quelli di sinistra con un “decalogo sulla corretta narrazione del femminicidio”.

“Ma quale decalogo – hanno criticato le paladine – si può scrivere che se l’omicida si è arrampicato sul balcone è una specie di scimmia cattiva, o descrivere la vittima come “bella e impossibile” per evocare il titolo della canzone di Gianna Nannini?”. Narrazione distorta e cultura da rifare. Non sono bastati né il divorzio, né l’aborto, né la pillola, né la parità fin qui conseguita, né le rivoluzioni del privato, né lo sdoganamento delle omosessualità, né il gender, né il transgender, né i cambiamenti del linguaggio, né venti anni in Afghanistan per dirla tutta. I femminicidi salgono, s’impennano e dilagano sempre di più.

La colpa è di chi racconta i fatti? Quali fatti? Io stessa ho fatto una fatica enorme per capire gli ultimi casi: quello di Chiara Ugolini, la ventisettenne finita in modo barbaro con uno straccio di candeggina in bocca dall’inquilino trentottenne pregiudicato; e quello di Ada Rotini, la quarantaseienne accoltellata alla gola dal marito davanti all’anziano che accudiva il giorno della separazione. Prima dati, soggetti, ambienti, luoghi, circostanze e soprattutto “elementi separati da opinioni”, ma occorre fare lo slalom tra decine di informazioni per avere un quadro almeno verosimile. E alla fine sarà mai una sintesi corretta degli accaduti? Sinceramente non lo so. Perché quando si parla di donne vittime occorre districarsi in una giungla di definizioni preventive, di etichette, di critiche, di pregiudizi su giudizi, di conclusioni affrettate, di condanne già segnate, di elementi tralasciati o fatti cadere.

E il paradigma è sempre uno solo, socio-politico, valido per tutta la questione femminile globale. Non sarà questa unilateralità un limite? Dicono che i femminicidi si risolveranno con un cambio di mentalità, un reset morale, un nuovo ordine sociale. Fine dei vecchi valori dell’Occidente e nuovi universalismi. Ma è già tutto smantellato: il concetto di verginità, l’etica del fidanzamento, è crollata l’idea di amore, di unione, di coppia, abbiamo destrutturato l’istituto giuridico e sacro del matrimonio, della procreazione, della famiglia. Non c’è limite al primo rapporto e ci si divorzia in sei mesi. Abbiamo abolito così radicalmente l’intero impianto uomo-donna che sono legittime e normali le relazioni omosessuali, sotto un vestito non sappiamo chi ci sia e anche nell’incontro sessuale forse arriveremo a non sapere più chi era in natura l’individuo con cui si copula. È possibile qualunque tipo di unione fisica, in qualunque modo ed è possibile fare figli su ordinazione con chiunque. A Parigi si è recentemente svolto un salone dei bambini surrogati, che sono il grande business. A maggio 2022 potrebbe ripetersi da noi. Coppie senza più sesso che scelgono nei cataloghi bambini senza genitori. Cosa dobbiamo ancora sdoganare? Si nasce non più secondo natura e si morirà per autodeterminazione. È il lessico il problema del rigurgito di morte che risale da ogni dove?

Io credo francamente che il problema attuale dell’umanità e della sicurezza delle donne sia invece la famiglia. La questione è l’istituto della famiglia ovunque, nelle diverse culture e religioni. Perché nonostante i tempi e le trasformazioni non esiste null’altro che possa garantire la vita di giovani, fidanzate, mogli, conviventi, compagne, donne in carriera, umili in ogni angolo della terra. Ogni evoluzione e conquista va commisurata e adeguata alla famiglia. Non è solo la donna e il maschio che devono progredire, è questo istituto che deve modellarsi. Non ci sono centri anti-violenza, leggi, braccialetti elettronici, non ci sono altre declinazioni di genere in grado di fornire una soluzione. È così fin dall’inizio dei tempi, come si legge nella Genesi (2,24): “L’uomo abbandonerà sua padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”. Ed è la formazione sociale elettiva alla base dell’articolo 2 della nostra Costituzione.

Certo nessuno può affermare che la famiglia è perfetta e che basta formarne una per risolvere tutto. I problemi sono dentro la famiglia, ma dobbiamo batterci inesorabilmente, con tutto lo slancio, l’intelligenza e il contributo per non farla crollare e renderla funzionale, essendo anche il fondamento dello sviluppo e dell’economia. In questo senso diventano di grande forza gli appelli per un ritorno alla concezione cristiana della vita. Che non sono le convinzioni religiose soltanto, o la Chiesa, che attraversa uno dei suoi tempi più bui. Ma “non possiamo che dirci cristiani” come scriveva Benedetto Croce. Le femministe possono illudersi, ma il lessico che dobbiamo ritrovare e declinare è quello della nostra civiltà e dei nostri valori.


di Donatella Papi