Vivere e andarsene dalla periferia

giovedì 26 agosto 2021


Vivere in periferia più che una condizione abitativa è uno stato d’animo. Significa in qualche modo sentirsi abbandonati, sentire che dall’alto qualcuno ha deciso che tu no, non dovevi nascere al centro, dove accadono le cose e la gente si incontra e si scontra con più facilità. Lo sguardo che un cittadino della periferia ha sulla città è di ammirazione e di odio, di sfida, uno sguardo provocatorio dietro il quale spesso si nasconde una sana invidia per chi nasce nelle zone centrali. Negli ultimi anni, ma è una tendenza che possiamo scovare andando anche più a ritroso, le periferie delle grandi città sono state letteralmente abbandonate. Gli spazi per la socialità sono assenti, i servizi essenziali mancano e soprattutto per i giovani la situazione è complicata. Se non ci sono campi da basket, biblioteche, circoli culturali, palestre e via dicendo, la probabilità che i ragazzi passino il pomeriggio tra la noia e una canna appostati al muretto aumenta sensibilmente. Per chi vive in zone dove non accade niente le alternative spesso sono soltanto due: la noia, la quale può anche portare a qualcosa di positivo se sfruttata adeguatamente, e il circondarsi di persone sbagliate. E in periferia quando si imboccano strade sbagliate è molto complicato poi uscirne.

Per un ragazzo normale di periferia, senza qualità evidentemente sopra la media, riuscire a sfangarla e passare dall’altra parte della barricata è praticamente impossibile. Anche studiando molto, laureandosi in tempo e con il massimo dei voti, gli stipendi fino ad una certa età saranno medi o medio-bassi. Questo lo raccontano i dati. L’ascensore sociale (se esiste) non riguarda più la persona in quanto tale, ma al massimo i suoi figli. A meno che non si abbia la fortuna di nascere con un talento straordinario, e pagato bene, andare a comprarsi una casa in centro città prima di imboccare la strada della vecchiaia è un’impresa lodevole.

In Italia il lavoro rimane ancora, più che mai, una questione ereditaria. Una raccomandazione vale più del miglior master nella migliore Università, e ciò beneficia chiaramente chi ha i contatti nei luoghi giusti. Ed è evidentemente più facile che i contatti ce li abbia un noto avvocato milanese che un pizzaiolo di Torvajanica. D’altro canto la figlia del pizzaiolo farà meno fatica della figlia dell’avvocato a imparare a fare la pizza. Tutto ciò crea una situazione malsana di perenne stagnazione. Riuscire a muoversi, anche di poco, dalla posizione che la società ti ha assegnato richiede fatica, molta fatica. E quello che accade è che la maggior parte della gente demorde, si arrende, e rimane impantanata nella propria posizione sociale.

Abbiamo bisogno di politiche che si occupino davvero di mobilitare l’ascensore sociale, di permettere a un ragazzo di farcela da solo, con le proprie gambe, a raggiungere i suoi obiettivi.


di Luca Crisci