Il borsellino di Malagò

lunedì 23 agosto 2021


Setubal, Portogallo, emporio cinese. Un signore vestito con modesta dignità paga una tanica di acqua distillata e un metro di filo elettrico con portalampada, quattro euro più monetine minuscole.

È lento, dietro di lui si forma la fila. È lenta anche la cassiera, nel suo laconico porto-cinese. Nessuno scalpita, in Portogallo la pazienza è nella bandiera nazionale.

L’uomo ha un borsellino nero, una bustina di plastica con la zip, da cui estrae le monete una ad una. Le guarda, quasi le soppesa: le controlla prima di consegnarle alla cinese imperscrutabile.

Questo rito commerciale dura il tempo di una compravendita immobiliare e quando, alla fine, sembra quasi che i conti tornino, l’uomo non si fa da parte. Resta lì, davanti al plexiglass anti-covid a protezione della cassiera con mascherina e visiera, anch’essa di plexiglass.

Tanica e cavo sono suoi, ma il denaro ha un valore, altro che consumismo sprezzante. E poiché dentro quella bustina ci sono banconote (poche, tutte verdolino-cinque euro) non è giusto che le monete sbarazzine le scompiglino. Dunque, le estrae, cura che non facciano le orecchie, le ripone come reliquie in un ordine che odora di religione.

Poi se ne va, a passo lento, quasi non fosse certo di avere fatto tutto e bene.

Esce, l’autobus è passato da poco, attenderà un’ora il prossimo, che lo porterà nel suo villaggetto, nella campagna dell’Alentejo, dove appenderà al soffitto della sua casa un filo nuovo al posto dell’altro che da tempo aveva maturato l’età della pensione.

Non è l’unico ad avere rispetto fisico per il denaro. Quanti vediamo compiere i suoi stessi gesti, con lentezza, un pizzico di timore e rispetto per questi simboli del loro sostentamento?

Ma non ci facciamo caso, oppure sbuffiamo, infastiditi dalla loro pedanteria e da quel culto del micro-denaro così lontano dai diktat consumistici. E poi, Paulo (perché non si dovrebbe chiamare così?) non sarà mai un caso politico. Non sarà mai difeso da una sinistra che cerca unicamente simboli ipocriti e tinte forti, scontati eccessi di demagogia. E nemmeno da una destra che insegue il culto del successo a qualsiasi costo.

Paulo vive nell’ombra anche in pieno sole, monta sull’autobus quasi scusandosi di essere venuto un attimo in città, torna a casa sapendo che i suoi quindici euro sono ben riposti nel borsellino.

Intanto, in Italia, qualcuno pensa a cose ben più importanti. Ad esempio, allontanare quaranta medaglie olimpiche dal concetto di allenamento e sacrificio e dedicarle al dio populista.

Così Giovanni Malagò, olimpico rivenditore Ferrari e Maserati, due settimane dopo la fine delle Olimpiadi ancora si bea di aver affermato che l’Italia sportiva è vincente perché multi-etnica.

Lui sì che ha a cuore la giustizia sociale. In tasca, non ha la bustina di Paulo, anzi, ha meno banconote di lui, e non deve perdere tempo a stirarle perché usa la plastica, con un chip che gli apre le porte del mondo.

Certo, uno come lui deve pensare a concetti elevati, e ogni cento parole deve inserire almeno una volta i termini “pianeta”, “integrazione”, “multi-etnico”.

Un nobile difensore della giustizia universale, che certo non riguarda quelli come Paulo, il quale, allo spegnimento della fiamma, cioè dopo la prima settimana del mese, sotto il materasso della casina di Zambujal aveva qualche altro biglietto verde e qualcuno arancio, di quelli piccoli.

Ma Paulo non fa né pena né notizia, lui è cittadino europeo, come quegli italiani cattivi, insensibili al multi-culturalismo perché troppo impegnati a sbarcare ogni mese il lunario, come si diceva un tempo.


di Gian Stefano Spoto