giovedì 5 agosto 2021
Il cellulare su cui state leggendo in questo momento non sa certo “come è” essere nel nostro stato cosciente. Il nostro cane? Lui sa cosa voglia dire essere coscienti. Scodinzola ed è evidente abbia un’esperienza soggettiva, non si sa se cosciente. La differenza tra l’essere animato – soggetto – e l’inanimato – oggetto – ci appare evidente. Ma cosa rende animati gli esseri viventi – umani e altro – ? Una domanda semplice che ci si fa dall’inizio dei tempi e cui non si riesce a dare risposta. Come nasce la nostra coscienza? Cosa è? I neonati, i soggetti con danni cerebrali , gli animali, mostrano tutti segni di coscienza. Tuttavia la natura della loro esperienza soggettiva cosciente è tuttora da scoprire.
È difficile indagare e studiare, individuare e “identificare” la coscienza. C’è ma non riusciamo a decifrarla. Scientificamente si sa che alcune aree del cervello umano sono critiche nel senso che un danno o la rimozione di alcune sue parti o regioni ha un impatto relativamente limitato sull’intero. Ad oggi la “Integrated Information Theory” (Iit) proposta nel 2008 dal neuroscienziato italiano trapiantato negli Usa Giulio Tononi ha indagato e poi enunciato sorprendentemente che la coscienza si trovi e possa essere trovata ovunque dove sia in corso una elaborazione delle informazioni, che in realtà può essere sia in un cervello che in un computer avanzato.
Secondo questa teoria l’informazione e la coscienza sono strettamente legate vale a dire che un sistema fisico può dare origine alla coscienza se vengono soddisfatti due requisiti fisici, ovvero – uno – che il sistema fisico sia molto ricco di informazioni. In pratica un sistema è cosciente quando l’esperienza cosciente è fortemente differenziata, che significa che ha un numero enorme di cose, come tanti fotogrammi di un film distinti e diversi tra loro . In sostanza risulta che sia il nostro cervello che il nostro disco rigido sono in grado di contenere tali informazioni altamente differenziate. Ma uno è cosciente e l’altro no. Ci si chiede quindi quale sia la differenza tra i due (il disco rigido e il cervello). Il nostro cervello umano è fortemente integrato. Esistono in esso miliardi e miliardi di collegamenti incrociati tra i singoli input i quali superano di gran lunga qualsiasi computer esistente .
Il secondo requisito – due – riscontrato come necessario perché emerga la coscienza – per “avere” la coscienza – è che anche tutto il nostro sistema fisico sia fortemente integrato. Ogni informazione cioè di cui siamo consapevoli viene presentata totalmente e insistentemente alla nostra mente. È nella nostra mente. Anche volendo, noi non siamo in grado di separare i fotogrammi di un film in una serie di immagini statiche, e neanche possiamo isolare completamente le informazioni che riceviamo da ciascuno dei nostri sensi. Questa integrazione massiva e completa è la misura di ciò che differenzia il nostro cervello da ogni altro sistema fortemente integrato.
Giulio Tononi ha preso a riferimento il linguaggio della matematica ed ha spiegato figurativamente come il nostro cervello tenti di generare un unico numero quale misura di questa informazione integrata. Il numero è conosciuto come “phi” (Φ), pronunciato “fi”. Qualcosa con un “phi” basso, come il disco rigido, non è e non sarà cosciente, mentre qualcosa con un “phi” abbastanza alto, come ad esempio il cervello di un mammifero, lo è e lo sarà. Esiste dal 2006 uno strumento in grado di misurare la quantità correlata alle informazioni integrate nel cervello umano. Sono stati usati impulsi elettromagnetici per stimolare il cervello e si è riusciti a distinguere i cervelli svegli e quelli anestetizzati in base alla complessità della attività neurale che ne risultava.
Con questa stessa misurazione si è stati in grado persino di distinguere tra i pazienti con lesioni cerebrali in stato vegetativo rispetto a stati minimamente coscienti. La stessa misura – “phi” – aumentava anche quando i pazienti passavano da stati di sonno non onirici a stati onirici. Si è visto anche come il cervelletto, un’area nella parte posteriore del nostro cervello, non contribuisca che in minima parte alla coscienza. E ciò nonostante contenga quattro volte più neuroni rispetto al resto della corteccia cerebrale, dove sembra avere sede la nostra coscienza. Il cervelletto ha una disposizione cristallina dei neuroni relativamente semplice.
Ciò avrebbe suggerito che quest’area fosse ricca di informazioni o altamente differenziata, tuttavia non soddisfa il secondo requisito della teoria di Tononi della integrazione per cui qualcosa non torna, e probabilmente è la stessa teoria a dovere essere completata. Certo è che in base alla suddetta teoria della coscienza consegue il fatto che se la coscienza è davvero una caratteristica emergente di una rete altamente integrata, allora probabilmente tutti i sistemi complessi – certamente tutte le creature dotate di cervello – hanno una forma minima di coscienza. E, per estensione, che se la coscienza è definita dalla quantità di informazioni integrate in un sistema, allora la coscienza non è affatto una nostra esclusiva, di noi esseri viventi umani.
di Francesca Romana Fantetti