Vaxgate all’italiana, Il cortocircuito della legge sulla vaccinazione

giovedì 5 agosto 2021


Senza chiarezza giuridica è impossibile uscire dalla lotta senza quartiere tra vaccinati e non vaccinati. In nessun altro paese come nel nostro la questione “vaccini” sta surriscaldando gli animi. È sotto gli occhi di tutti lo scontro che si sta consumando tra le due “fazioni” in campo. A dar fede a ciò che si legge sui social amicizie pluridecennali si sono infrante sul muro contro muro delle rispettive contrastanti posizioni. Non è difficile immaginare pranzi e cene in famiglia in cui non si discuta d’altro, dato che un minorenne toscano che voleva vaccinarsi ha portato in tribunale i genitori che glielo impedivano. Da qualche giorno la vicenda ha assunto toni – se è possibile – persino più arroventati a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge 105 del 2021 con cui il governo ha varato la famigerata “certificazione verde” ovvero l’arcinoto Green pass: una sorta di passaporto vaccinale che pone delle limitazioni ai cittadini italiani che non si sono vaccinati. In particolare, per chi avesse avuto la fortuna di non essersi dovuto sobbarcare la lettura degli articoli del decreto, dal sei agosto chi non possiede tale certificazione non potrà sedersi al tavolo al chiuso nei bar e nei ristoranti e non potrà accedere a grandi eventi, musei, teatri, palestre, sagre, centri termali, centri culturali e luoghi affini.

A dirla tutta queste sono delle limitazioni estremamente leggere. Infatti, per quanto riguarda bar e ristoranti – in cui si va tutti i giorni e potenzialmente potrebbero creare maggiore disagio ai non vaccinati – è bene ricordare che il decreto ha una validità di sessanta giorni e poi, se non viene convertito in legge dal Parlamento in tempo, decade. E in Parlamento è necessaria la maggioranza dei voti, che potrà esserci come non esserci. Fino a quella data, il 23 settembre, non sarà un enorme disagio accomodarsi ai tavolini fuori, dove probabilmente vaccinati e non vaccinati convivranno inevitabilmente, date le temperature estive. Quanto alle altre limitazioni, si tratta per lo più di eventi straordinari dato che è improbabile che ci si rechi a teatro o allo stadio o ad un concerto ogni giorno e, in questi casi, chi non è vaccinato e desidera andare lo può fare con un semplice tampone antigenico – il cui prezzo è stato calmierato dallo stesso decreto – eseguito nelle 48 ore precedenti. Chi sembra davvero essere stato penalizzato da questo decreto sono solo i frequentatori di palestre, in cui si va quasi ogni giorno e costringerebbe gli utenti non vaccinati ad un fastidiosissimo quotidiano ricorso al tampone.

Per essere completi è bene aggiungere che il Green pass è valido solo in zona bianca e zona gialla, poiché nelle altre colorazioni tutto ciò cui darebbe accesso chiude di nuovo per tutti, vaccinati o non vaccinati che siano. Naturalmente non è su questi dettagli, che è comunque doveroso conoscere, che è in atto una vera e propria “guerra civile” che di civile, spesso e volentieri, ha poco o nulla. La questione di fondo è, sostengono entrambe le parti in conflitto, una questione di principio. Da un lato s’invoca la biosicurezza che deve avere la precedenza su qualunque presunta questione democratica e dall’altra ci si richiama alla libertà come valore irrinunciabile. Va da sé che – per usare un eufemismo – non sempre ci si esprime in termini di valori contrapposti, cadendo spesso, da ambo le parti, nel più becero qualunquismo.

In questa lotta senza quartiere, in cui non appena s’incontra qualcuno gli si chiede di render conto sulla propria avvenuta vaccinazione, dove si trova la ragione? La ragione, per dirla con una battuta, è rimasta a casa, poiché in verità questo scontro non sarebbe mai dovuto iniziare e, proprio per questo, non può avere fine. Il problema non è dei cittadini, vaccinanti o non vaccinati. Il problema è delle istituzioni dello Stato che, avendo legiferato in maniera ambigua, hanno lasciato nell’ambiguità l’intera cittadinanza che naviga a vista. Dallo Stato arriva, infatti, un duplice messaggio. Da un lato, non avendo stabilito, per legge o per decreto, nessuna obbligatorietà per la vaccinazione, il messaggio è chiaro: non esiste nessuna emergenza sanitaria. Dall’altro, introducendo limitazioni ai non vaccinati, il messaggio è altrettanto chiaro: esiste una grave emergenza sanitaria. Tuttavia, se presi da soli questi messaggi sono chiarissimi, la loro unione crea una contraddizione insanabile. Delle due l’una: o esiste un’emergenza sanitaria e allora la vaccinazione è obbligatoria e la non vaccinazione è fuorilegge e le limitazioni sacrosante, come per tutti quei vaccini che ci hanno inoculato e inoculiamo ai nostri figli durante l’infanzia, o l’emergenza sanitaria non esiste e di conseguenza non si opta per la vaccinazione obbligatoria e non si pongono in essere limitazioni a chi rimane nella legge, non sottoponendosi a una vaccinazione non obbligatoria. Insieme non possono essere vere e creano un cortocircuito senza fine che è sotto gli occhi di tutti.

Se le istituzioni ritengono che esiste un problema di salute pubblica la Costituzione fornisce loro tutti gli strumenti per una “prassi sanitaria obbligatoria”, se invece non c’è obbligatorietà è legittimo desumere che per le Istituzioni questo problema di salute pubblica non esiste. Il problema è tutto qui: nell’essere nella contraddizione di pretendere che tutti decidano per la vaccinazione (come se fosse obbligatoria) senza che sia obbligatoria. È come dire ad un bambino: “puoi sederti”, ma poi punirlo perché si è seduto. Credo che su questo punto entrambe le “fazioni” dovrebbero rimproverare le istituzioni, chiedendo loro chiarezza giuridica e non azzannandosi vicendevolmente in una insensata disputatio senza possibilità di mostrare incontrovertibilmente l’errore altrui.


di Claudio Amicantonio