Nazionale in ginocchio? No, grazie

venerdì 2 luglio 2021


Onestamente ho perso il filo del ragionamento: da quanto si apprende dalle ultime prese di posizione della Figc, la Nazionale italiana, alla fine, avrebbe scelto di inginocchiarsi all’inizio della partita contro il Belgio. Tuttavia, questo gesto non avrebbe nulla a che vedere con la campagna antirazzista: la squadra italiana e i suoi rappresentanti continuano a non condividere questo tipo di gesto dimostrativo, pur condannando fermamente il razzismo. Il motivo per cui la federazione avrebbe scelto di inginocchiarsi comunque sarebbe la solidarietà con la squadra avversaria. Cioè, se la squadra belga si genufletterà, lo faranno anche gli italiani; se invece resteranno in piedi gli italiani non saranno da meno.

Sembra una sorta di “gioco dello specchio”: se lo fai tu lo faccio anch’io; se tu non lo fai, allora non lo faccio nemmeno io. Si direbbe quasi che la Figc non abbia voluto prendere una posizione sulla questione: se non si condivide la campagna e la si ritiene inappropriata rispetto al significato che pretenderebbe di avere, la soluzione è non riprodurne i gesti. Se, invece, la si condivide, allora si faccia quel che si deve e basta. La pavidità regna sovrana. Si, la pavidità. Perché è da questo sentimento che deriva il rifiuto di assumere una posizione chiara su una certa questione. Perché è la pavidità che spinge a conformarsi acriticamente ai comportamenti altrui. Probabilmente, la scelta della squadra italiana è un disperato tentativo di non sembrare “razzisti”, o comunque poco sensibili sulla questione, ma nemmeno troppo accondiscendenti rispetto a questa farsa.

Questa storia dell’inginocchiarsi o meno sta cominciando a diventare snervante. A maggior ragione che si tratta di un gesto che nulla ha a che vedere con il razzismo. Quest’ultimo – si dice sempre – si combatte col rispetto dell’altro. Ma inginocchiarsi non è un segno di rispetto, ma di sottomissione, di supplica, di remissività. Inginocchiarsi non significa “io ti rispetto come mio pari”, ma “io mi sottometto a te come mio superiore”. Attenzione su questo punto. Due uomini che si rispettano a vicenda stanno in piedi, si guardano negli occhi e usano reciprocità. Un uomo che si mette in ginocchio davanti a un altro uomo si sta sottomettendo: esattamente ciò che vogliono il movimento “Black Lives Matter”, da cui è partita tale campagna, e i fautori del “multikulti”. Tutto è partito dalla famigerata protesta del movimento per i diritti dei neri (o presunto tale) per le vittime della violenza della polizia, che ha visto gli agenti bianchi incaricati di mantenere l’ordine mettersi in ginocchio dinanzi ai contestatori. In un’epoca in cui prevale la “psicologia del gregge”, tale gesto è diventato virale nel giro di pochissimo tempo, ed è assurto a simbolo della lotta contro il razzismo e la discriminazione. Ma, si diceva, il razzismo si combatte col rispetto, cioè trattandosi alla pari, non sottomettendosi, come il gesto di inginocchiarsi sottintende.

Il punto è che l’obbiettivo di gruppi come il “Black Lives Matter” non è semplicemente ottenere rispetto e parità di condizioni: ciò che perseguono è la sottomissione da parte degli altri gruppi, di quelli diversi da loro. Gli stessi tifosi del politicamente corretto e del multiculturalismo coatto non vogliono semplicemente che le varie etnie convivano: vogliono che alcune – giudicate svantaggiate o “vittime” – prevalgano su altre e si rivalgano per i patimenti (immaginari) loro inflitti. Chi conosce il “Black Lives Matter” sa benissimo che non si tratta di un movimento per i diritti civili, ma di un gruppo di estrema sinistra, fortemente ideologizzato e sostenitore di una sorta di “lotta di classe” in chiave razziale, dove i neri sono i proletari e i bianchi i borghesi. Sono gli eredi diretti delle “Pantere Nere”, il gruppo suprematista nero che negli anni Settanta si distinse per i suoi toni aggressivi, per il suo stile paramilitare e per il suo sostegno alla lotta violenta contro il “predominio dei bianchi” nella società americana: il loro obbiettivo dichiarato non era portare più uguaglianza tra i due gruppi, ma far avanzare i neri a discapito dei bianchi. Non diversamente, il “Black Lives Matter” sostiene di lottare contro il “White privilege”, che è lo stesso.

Non vogliono parità di trattamento, ma la sottomissione da parte di quelli che vedono come gli eterni nemici dell’affermazione della comunità nera: i bianchi, colpevoli per il fatto stesso di essere tali. Non si tratta, quindi, di un movimento pacifista nato sull’onda dell’indignazione della comunità afro-americana per le violenze ai loro danni, come la narrazione politicamente corretta vorrebbe far credere: ma di un movimento di estrema sinistra che pratica una diversa e ancor più subdola forma di razzismo, in quanto nascosta dietro la maschera della giustizia sociale e dei diritti civili. Questo significa che chi, aderendo a tale campagna, si inginocchia per dimostrare la sua solidarietà o il suo antirazzismo, in realtà e sia pure in maniera inconsapevole, si sta inginocchiando dinanzi alle rivendicazioni di un gruppo di marxisti neri che non fanno mistero della loro ostilità nei confronti dei bianchi: non è forse anche questa una forma di razzismo? Inginocchiarsi, in questo caso, non è un modo per dimostrare solidarietà: è un atto politico che indica vicinanza a quel gruppo e a quell’ideologia. Non è un gesto di rispetto e di parità, ma di sudditanza – anzitutto psicologica – nei confronti di quella mentalità che, in nome della lotta alle discriminazioni, ne vorrebbe istituzionalizzare o incentivare delle altre. Ma, soprattutto, è il segno più chiaro ed evidente di quanto gli occidentali siano vittime del senso di colpa indotto, che li spinge a vergognarsi di sé stessi e a mettere in atto questo tipo di comportamenti. Tutti coloro che finora si sono messi in ginocchio non hanno manifestato contro il razzismo, ma a favore di una sua diversa forma, oltre che di quella specie di “etno-comunismo” che vede nei bianchi l’origine di tutti i problemi di questo mondo e la relativa civiltà occidentale come il sistema da distruggere per l’avvento di un mondo più giusto e solidale. Quindi, se davvero non si è razzisti, si stia in piedi e non si mandino segnali di sottomissione a movimenti e ideologie che razzisti lo sono dichiaratamente.


di Gabriele Minotti