Condottiero, santo, artista: niente

lunedì 28 giugno 2021


Detto in maniera assai riduttiva: gli uomini hanno stabilito due morali diversissime, persino opposte. Semplicisticamente le definirei morale della pietà e morale della spietatezza.

La morale della spietatezza la si vuole ritenere specifica dell’era Pagana: il nemico vinto reso schiavo. Gli schiavi non considerati uomini, li si trattava con estrema disinvoltura in condizioni derelitte. Non che esistesse benevolo atteggiamento e meno spietato nei confronti dei propri cittadini, in talune società addirittura veniva teorizzata l’uccisione dei malati, degli anziani, per non parlare delle manifestazioni di crudeltà come quelle dei gladiatori o la punizione collettiva per il delitto di un solo schiavo.

Gli antichi ritenevano che ciascuno doveva reggersi da sé, doveva valere in prima persona. Tutto ciò con approssimazione, infatti spesso si fornivano al popolo vettovaglie, ma non c’è dubbio che la vita era durissima e non si faceva della bontà e del soccorso l’essenza della morale ma piuttosto del coraggio, della combattività, e perfino della spietatezza. Era il guerriero l’uomo esponenziale delle civiltà pagane: anche l’intellettuale, il poeta, il filosofo, il sacerdote… se non erano guerrieri, perdevano valore.

Tutto cambia, almeno nella concezione, con il Cristianesimo, il quale rese la compassione, come del resto già concepiva il Buddhismo, fondamento della morale. Dal Buddhismo ci viene la compassione come fondamento assiale della morale, favorire la vita, aiutarla a sgorgare serena, ma la compassione buddhista era ed è staccata, impassionale. Il buddhista non deve sentimentalizzare la compassione, agisce pietosamente con animo impassibile senza coinvolgimento emotivo che oltrepassi una calma benevolenza.

Il Cristianesimo è furore di pietà, il sofferente è condiviso, sgravato di pena che viene assunta dal cristiano. Il cristiano soffre della sofferenza altrui, preferisce soffrire purché il prossimo non soffra. La pietà del cristiano è a gradazione vulcanica, si addossa il dolore di ogni prossimo e non ha quiete finché non dà quiete, si spoglia di sé: amaro il pane se gli altri non lo mangiano e se lo toglie dalle mani se gli altri hanno mani vuote.

La compassione del cristiano non esige distacco. L’opposto, immedesimazione estrema, se il prossimo va amato come se stesso che abbiamo di più immedesimato di noi stessi? Dunque, se il prossimo va amato come noi stessi, è immedesimato in noi come lo siamo noi in noi! È lo stravolgimento del Paganesimo, tenuto conto oltretutto che il Cristianesimo ritiene “uomini” anche gli schiavi, affermazione già stoica ma poco rilevante in passato.

Il Cristianesimo si inoltrava in richieste ancora più ardue, amare: perdonare il nemico, non replicare al male con il male. Sia la concezione pagana, sia quella cristiana sono state esaltate e svilite. Del Paganesimo si ammirò il criterio di signoria dei più forti, gli eroi, i sapienti che non volevano salvare i peggiori, gli inetti ma si dirigevano nettamente ai loro grandi scopi. Del Cristianesimo si apprezzò la volontà di salvare anche i più deboli, gli sfortunati, i bisognosi. Del Paganesimo si rinnegò la spietatezza aristocratica; del Cristianesimo si rinnegò il venire incontro ai disgraziati, di sostenere i vinti, trasformando la società in un luogo di soggetti svalutati.

Nel XX secolo la disputa tra le due morali che si inasprì nel finire del XIX secolo, quando l’avvento del proletariato apparve a taluni pensatori il trionfo degli “ultimi” e la disfatta degli uomini superiori al punto che era indispensabile il Superuomo per tornare alla aristocrazia impietosa, si estremizzò in ideologie degenerate le quali confusero aristocrazia dello spirito con superiorità della razza. Ideologie errate e delinquenziali, in quanto giustificavano il dominio schiavistico in nome di una superiorità razziale inesistente, di una superiorità dello spirito inconsistente: infatti non vi è traccia di arte da quella ideologia.

L’esito fu ancora più sciagurato. Da allora sostenere la nobiltà dell’arte, la cultura superiore, la repulsione per lo svilimento dell’espressione, la corrività comunicativa sembra voler disprezzare e suscitare dominazione. Laddove è l’opposto, non vi è persona più umile di chi vuole elevarsi: solo l’incapace non scorge quanto non vale in questo equivoco.

Abbiamo una morale della pietà che non discerne, anzi accoglie e include all’ammasso; e una morale pseudo-pagana che crede aristocrazia il possesso o il disprezzo prepotente. Ma la morale pagana e la morale cristiana forgiarono ben altro: il Condottiero, il Santo. E sempre l’Artista. Il Paganesimo non si rinchiudeva nel dominio senza civiltà, Cristianesimo non si contentava dell’accoglienza all’ammasso non esigendo una elevazione morale.

Paganesimo e Cristianesimo sono, diversamente, concezioni morali che impongono comportamenti morali. Ossia poter condannare chi infrange lo spirito aristocratico (Paganesimo) o l’altruismo illimitato (Cristianesimo), ma poter anche condannare chi nega lo spirito aristocratico e vanta il tipo volgare, incapace, nemico della qualità. Diventiamo società all’ammasso, insisto, ammasso sociale dove insorge il vicendevole disprezzo, il non valere accomunato, il venire incontro scendendo. Non vi è né aristocrazia pagana né compassione cristiana, piuttosto una società senza civiltà.

Le civiltà concepiscono un tipo d’uomo come scopo, noi abbiamo l’uomo del “come è, è”. Anzi lo stiamo persino espiantando: tentiamo l’uomo nuovo. Un momento gravissimo. Non bastava l’uomo all’ammasso, cerchiamo l’uomo globalizzato ossia non più uomo-individuo. Sessualmente polivalente, cittadino senza patria e storia, senza cultura alimentare, il più ben architettato espianto di radici mai concepito e in via di attuazione, quest’uomo-niente sarà esclusivamente tecnico ossia un mezzo tra gli strumenti.

Paganesimo e Cristianesimo, in modo diverso, avevano come fine l’uomo, l’aristocratico, il buono. Di uomo non resterebbe una eco se lo si globalizzasse. Il tutto non ha identità.  E non può rifiutare, altrimenti non è globale. Chiaro lo scopo? Un uomo passivo, al quale va bene tutto non avendo identità. Il neurotico dell’Era tecnica, puramente esecutivo: vedremo!

Non è che tutti vogliamo rinunciare a scegliere, accettare ma anche rifiutare! Dovremmo accettare indifferenziatamente e renderci globali, non più individuali? Credo che taluni pretendano eccessivamente. La Natura ci fa individui: vedremo!

Si sta attentando all’individuazione, essenza della Natura. La risultanza della globalizzazione è alchemica, vuole frantumare l’individuo naturale e storico. E impiantarvi l’uomo globalizzato, senza caratteristiche personali. Vedremo!


di Antonio Saccà