La verità monca delle indagini giudiziarie

venerdì 25 giugno 2021


Anche i giornalisti hanno talvolta le loro responsabilità per come trattano le inchieste giudiziarie. Troppo spesso nella narrazione della notizia viene trascurato un principio basilare del codice di procedura, cioè che la prima fase dell’indagine è sottoposta al totale dominio della Procura, cioè del pubblico ministero che rappresenta l’accusa.

L’errore che spesso commette il giornalista è quello di enfatizzare questa prima fase, nella quale si ascolta solo la campana dell’accusa, mentre la difesa deve ancora cominciare a muovere i suoi passi ed esercitare la sua funzione.

Data questa informazione a senso unico, il giornalista passa la notizia come se fosse vera, mentre in realtà è solo la tesi sostenuta dal pubblico ministero. Quella che manca totalmente è la possibilità di replica della difesa, che non ha accesso agli atti per tutta la fase dell’indagine.

L’ipotesi dell’accusa finisce, quindi, per essere considerata come un fatto acclarato e fonte di notizia ancor prima di essere verificata. La divulgazione a senso unico di quella che altro non è che una ipotesi di parte, in quanto tale tutta da dimostrare, ha effetti deleteri sulla corretta informazione. L’opinione pubblica finisce per essere influenzata da questa visione parziale e viene naturalmente condotta a considerare verità quella che, invece, è solamente la tesi dell’accusa tutta da dimostrare.

Occorre ricordare che solamente quando il pubblico ministero conclude le indagini inizia il procedimento vero e proprio. È da quel momento che la difesa entra finalmente in gioco, essendo entrata in possesso degli atti d’accusa e venuta a conoscenza dei reati contestati. Tutto quanto avviene prima, nell’imminenza dell’azione giudiziaria, non deve essere confuso con la realtà dei fatti, bensì deve essere considerato come la tesi sostenuta dal pubblico ministro, l’unica in campo nella prima fase dell’indagine. E, come tale, andrebbe trattata.

 


di Andrea Cantadori