Il Tar del Lazio nega il diritto alle fonti

lunedì 21 giugno 2021


Obbligare i giornalisti, per sentenza, a rivelare le fonti delle notizie che pubblica significa uccidere il giornalismo d’inchiesta e proibire di svolgere quel servizio pubblico inerente all’attività d’informare i cittadini e di garantire a tutti il mantenimento della democrazia e del pluralismo.

“La libertà – ha lasciato scritto Piero Calamandrei, uno dei padri della Carta costituzionale – è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.

Il caso delle fonti è tornato di attualità in seguito di una sentenza del Tar del Lazio a seguito del servizio del giornalista Giorgio Mottola della trasmissione della Rai “Report” diretta da Sigfrido Ranucci. L’inchiesta riguardava gli appalti pubblici in Lombardia e l’avvocato Andrea Mascetti, che era stato chiamato in causa, si era rivolto al Tribunale amministrativo per avere accesso agli atti effettivamente utilizzati per l’inchiesta e detenuti dalla redazione.

Una sentenza che mette in discussione la segretezza delle fonti giornalistiche e quindi la libertà di stampa. In più c’è l’anomalia di aver fatto ricorso ad un paragone improprio: considerare l’informazione dell’azienda di Stato alla stregua di atti della Pubblica amministrazione. Ecco quindi l’intervento del Tar.

Nessuno è “legibus solutus” hanno lasciato come eredità giuridica Ulpiano e Cicerone, tra i massimi giureconsulti dell’antichità. I reati se ci sono vanno accertati e puniti. Ma nel rispetto dei principi fondamentali della Carta costituzionale che ha sancito alcuni principi base, che vanno dalla difesa e sviluppo della dignità dell’uomo alla rimozione dei limiti in fatto di libertà e uguaglianza dei cittadini.

Nella prima parte, riguardante i diritti e i doveri dei cittadini, c’è il fondamentale articolo 21 per cui “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dall’autorità giudiziaria nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi”.

Rientra in questa sfera la sentenza del Tribunale amministrativo che vuole consentire al legale l’accesso alle fonti del giornalista? I reati di stampa o a mezzo stampa sono ben individuati anche dal Codice penale anche se a differenza degli avvocati, medici, farmacisti, notai, preti non include i giornalisti nell’elenco esentati dall’obbligo di deporre in giudizio sui fatti conosciuti in ragione della loro professione.

C’è però una questione di etica professionale, che vieta ai professionisti di diffondere notizie acquisite nel rapporto fiduciario. Per i giornalisti la difesa del diritto al segreto professionale relativo alle fonti d’informazione è sancita dall’articolo 2 della legge sull’ordinamento della professione giornalistica (3 febbraio 1963 numero 69 promossa dal Guardasigilli, Guido Gonella).

Il problema deriva, come nel caso del carcere ai giornalisti condannati per diffamazione di cui si stanno occupando la Corte costituzionale, dalla propensione di alcuni magistrati, in particolare della giustizia inquirente, di dettare norme restrittive alla libertà d’indagine.

Se prevalesse questa tendenza non ci sarebbe stato il Watergate con la messa sotto accusa del presidente degli Stati Uniti d’America, le inchieste dei vari Premi Pulitzer e film come Tutti gli uomini del presidente, Jfk-un caso ancora aperto, Il caso Spotligtht dopo il Premio Pulitzer sull’inchiesta riguardante casi di pedofilia coperti o The Post di Steven Spielberg sulla pubblicazione dei Pentagon Papers.


di Sergio Menicucci