lunedì 21 giugno 2021
Che l’opera principale, o comunque la più nota al vasto pubblico, di John Ronald Reuel Tolkien ovvero Il Signore degli Anelli non brilli per tematiche legate al sesso è un fatto indiscutibile. Del resto capolavori assoluti come Il serpente ouroboros di Edward Rucker Eddison e La figlia del Re degli Elfi di Lord Dunsany, con la trilogia tolkieniana condividono lo stesso tipo di rapporto sull’eros. Ma Tolkien doveva per forza occuparsi di simili tematiche, tra l’altro ai suoi tempi per nulla o poco sentite? Forse nella sua mente esistevano argomenti più pregnanti e importanti, che non la questione oggi tanto di moda del “gender”, ad esempio, e tra le tante possibili l’Amore.
Sì, perché anche se spesso non volgarmente manifesto, Tolkien nelle sue opere, secondo la miglior tradizione epica e medievale, d’Amore ne parla spesso, e ne tratta con l’estasi lirica dei trovatori e dei bardi. È certo “vero Amore” (e dunque anche sessuale, erotico, ciò che lega Aragorn e Arwen, o quello più pacifico e borghese di Samvise Gamgee e Rosie Cotton. È Amore – e dunque anche sesso – quello che unisce Faramir ad Eowyn, principessa di Rohan.
A quest’ultimo proposito riporto: “Devo dunque lasciare il mio popolo, uomo di Gondor?” ella disse. “E vorresti che la tua gente orgogliosa dicesse di te ecco un signore che ha domato una selvaggia fanciulla del Nord! Non vi era dunque una donna della razza dei Numenoreani ch’egli potesse scegliere?”.
“Lo vorrei disse Faramir. E la prese fra le braccia e la baciò sotto il cielo assolato, e non si curò di essere in piedi sulle mura, visibile a molti. E molti infatti li videro, e videro la luce che brillava intorno a loro mentre scendevano dalle mura e si recavano, mano nella mano, nelle Case di Guarigione” (JRR Tolkien, Il ritorno del re).
Faramir bacia Eowyn, davanti a tutti. Mi pare basti e avanzi. Ma non è questo ciò che evidentemente interessa oggi alla Società Tolkieniana Britannica che, seguendo ormai il noto comandamento pansessualmente fluido di questo primo inizio di Terzo Millennio, ha messo in atto un ciclo di conferenze basato sull’interpretazione in chiave transgender e queer de Il Signore degli Anelli. Già, sarebbe stato troppo banale fermarsi ad approfondire il rapporto di “erotismo mistico” – simboleggiato dallo splendore che avvolge Faramir ed Eowyn – che vede come protagoniste le succitate coppie di personaggi dell’opera, tra l’altro tutte palesemente eterosessuali, e quindi invece si è ritenuto meglio scavare con morbosa e colpevole volontà di mistificazione, su eventuali quanto inesistenti, rapporti “omosessuali”.
Insomma vogliono forse dirci che sotto sotto, Gimli e Legolas si piaciucchiano e qualcosa tra loro potrebbe essere avvenuto nelle profondità della foresta incantata di Lothlórien? O che Merry e Pippin… beh, anche tra loro… tra buoni e vecchi amici. O ancora una Galadriel ammantata di saffica magia che desidera essere amata da tutti e da tutte? Perché non una bella gang-bang con Celeborn e tutti gli altri Elfi? Suvvia, finiamola d’essere così bacchettoni, questo è il Ventunesimo secolo, perdincibacco, non siamo più nel Medio Evo e neppure nel Rinascimento e – nel caso non ve ne foste accorti – neanche nell’Età vittoriana tra dipinti preraffaeliti e dame dai capelli rossi e dal sensuale languore. Benvenuti nell’oggi, in quella realtà – l’unica per alcuni ipovedenti – tanto degna d’essere presa in considerazione. È il “progresso bellezza!” potremmo parafrasare, ma noi invece intendiamo andare, come sempre, oltre, lungo altre correnti facendo vela verso Bisanzio, come avrebbe scritto di certo William Butler Yeats che, forse, d’Amore e di Magia ne sapeva molto più di tutta la Società Tolkieniana Britannica.
Scopo (sia detto senza fraintendimento) del britannico sodalizio che dovrebbe curare l’opera del professore oxoniano sarebbe stato quello di occuparsi del tema della “diversità” nei testi tolkieniani. Perfetto. Paragonabilmente a molti altri testi narrativi della letteratura fantastica (contemporanei a Tolkien e successivi a lui) il mondo di Arda è abitato da molteplici genti, ciascuna con la propria caratteristica identità (parola tanto amata e abusata da una certa visione politica che finisce quindi per rivelarsi ulteriore limite) quali appunto Elfi, Nani, Umani, Istari, Pastori d’Alberi e via discorrendo per andare poi con Orchi, Troll e chi più ne ha ne metta sino a creature spettrali. Vogliamo altra “diversità”? Sì, evidentemente. Ed ecco la malafede di tutta l’operazione improntata al politically correct imperante.
Non è infatti l’unione tra i simili ma differenti, qual è ad esempio la Compagnia dell’Anello, che si cerca, ma quella tra gli uguali. Mi voglio spiegare in maniera più semplice per i meno avvezzi all’uso delle meningi e della lingua italiana: una “coppia” è formata da due “cose” di genere differente, per esempio forchetta e coltello. Un “paio” invece è formato dal medesimo genere, un paio di forbici, tanto per capirci. La diversità e l’accettazione di essa esiste dunque nella Compagnia ma non tra gli spettri dell’Anello che sono nove e tutti identici.
Ma il punto per gli studiosi inglesi non è questo, ma esclusivamente il genere sessuale esistente nell’opera di Tolkien, tant’è pare – non avendo chi scrive ancora visto il serial tv preferisco usare il condizionale – che la versione Amazon de Il Signore degli Anelli abbia concesso larghi spazi al tema succitato, volendo quindi imitare la già sin troppa nota serie de Il Trono di Spade. Ci sarebbe da chiedersi il perché, ma già conosciamo le risposte.
Tutta l’operazione, quindi, è infettata sin dall’origine dal consueto morbo postmoderno che vuole sempre, pretestuosamente, arrogantemente e presuntuosamente, applicare ad uomini che hanno visto un passato differente dal nostro, da questa contemporaneità, le categorie odierne. Ecco che allora si fa di Caravaggio un antecedente pasoliniano dedito all’omosessualità con “ragazzi di vita”, laddove nulla di tutto questo ci è dato dalle cronache del tempo, e così si riporta tutto un milieu di “allora” completamente differente da quello di oggi, alterando spesso i fatti e la verità storica e non sempre in maniera inconsapevole, dunque in buona fede.
Ho fatto un esempio tratto dagli studi storico artistici apposta per rientrare nel mio campo d’elezione, non appartenendo di fatto a nessuna forma di esegesi legata a Tolkien e pertanto potendone parlare in maniera del tutto libera da legami di consorteria. Concludiamo quindi questa sin troppo lunga dissertazione su un argomento che avrebbe dovuto suscitare al più una sonora risata di scherno, per procedere verso cose molto più degne del nostro interesse e del nostro prezioso tempo, lasciando pure tali trattazioni pseudointellettuali all’onanismo compulsivo di tanti studiosi affetti da questo monomaniacale interesse che è il gender. Forse praticare un po’ più di sano sesso farebbe bene a tanti intellettualoidi alla moda, inglesi, italiani o ugrofinnici che essi siano.
di Dalmazio Frau