La Cina e gli scarafaggi

giovedì 10 giugno 2021


Un grido in casa. Che fu? Che è successo? Ancora un grido. Ma che è successo? Una voce urlante… scarafaggio rosso, grosso! Uno scarafaggio rosso, grosso, a casa, di notte? Purtroppo, capita. Si è riparato in uno stanzino, spero che muoia di fame. La mente associa… scarafaggi, scarafaggi… la Cina. Anno 1983: ero coniugato allora e abitavo in Largo Fregoli, Piazza delle Muse, il centro della Roma dei Parioli. In casa radunavamo settimanalmente amici, conoscenti e io tenevo conferenze o le presentavo. Un ambiente di borghesi ma anche scrittori, ministri, giornalisti, docenti, imprenditori.

Con mia moglie viaggiavamo per i congressi universitari e per nostri luoghi. Come fu non ricordo, però capitò di andare in Cina, a quei tempi, la Cina comunistissima, la Cina di Mao, del (fallito) balzo in avanti, delle (fallite) Comuni, della (disastrosa) Rivoluzione culturale. La Cina che rivaleggiava con l’Unione Sovietica facendosi dirigente di una società comunista in una nazione di contadini protagonisti delle rivoluzioni.

Era un marxismo molto originale, capovolto e la Cina ne fu direttrice, con entusiasmo degli intellettuali occidentali, delusi dallo stalinismo. Alcuni conoscenti, un bel gruppo: via, partiamo. Il volo non finiva, non ricordo se fu in quell’occasione che attraversammo una zona di pioggia dei Monsoni, come stare sotto il mare. Sui finestrini l’acqua scorreva a secchiate, onde di mare in cielo, buio nero, la gente dormiva, vegliavo io. Forse durò un giorno il volo.

Arrivammo in Cina. Lo schifo più schifoso, puzzolente, nauseativo, di roba scotta, marcia, un odorino che subbugliava lo stomaco, meno virulento del puzzo indiano ma più vomitativo, assillante. L’acqua gettata sulle vie, i mercatini di animali scuoiati, la gente magra, patita, faccia di fame. I cinesi cercavano di avviare il turismo, cominciavano a edificare alberghi lussuosi, ed a Canton... l’albergo non era concluso, ma in funzione.

Stanze con luci abbacinanti, aria condizionata da gelare un orso bianco, arredi che tentavano la raffinatezza: entro, mi siedo e guardo intorno. A Canton ero giunto dopo aver visitato Pechino, Shanghai, Xian, la Muraglia cinese, paesaggi con montagnole blu, coniche, innumerevoli, dopo aver interrotto i pasti avendo disgraziatamente visto che lavavano le stoviglie con l’acqua sporca dei piatti già lavati. In più quell’odore indomabile di roba scotta, di cacchetta infantile, che miseria lercia, stentata, afflitta. I cinesi guardavano sbalorditi noi europei, alti, ben nutriti, eleganti che compravano sete, cotoni, anticaglie credo false… padroni.

A Canton, nella stanza gelida, guardo, guardo, guardo. E vedo un movimento di non so che, due antennine mobili, filiformi. Osservo bene, una cosetta di parecchi centimetri, marrone chiaro, su di un tavolinetto. Vibrava le antennine come a voler capire che succedeva... uno scarafaggio robusto, prepotente, presuntuoso. Scatto, una scarpa, bum-bum: morto senza rendersene conto. La faccenda non mi gradiva, ma era risolta.

Quand’ecco apparire, al mio occhio assonnecchiato, due antennine periscopiche che si muovevano come a fiutare l’ambiente… uno scarafaggio anzi due, anzi tre, schierati contro di me, armati, vendicatori dell’amico ucciso. Scarpa in pugno sferrai un colpo da fracassare la parete, ma quei guerrieri di arti marziali si rifugiarono ed io rimasi con la scarpa in pugno, abbacinato e gelato.

Non ero in condizioni di persistere in quella camera: uscii, scesi al pianoterra, alla Reception, nel salone vi erano tanti cinesi (in Cina e in India la gente è involontariamente in gruppo), mi osservano sbalorditi. Cerco di ottenere un foglio e una penna, non so disegnare ma la situazione mi ispira: disegno, disegno e quando aggiungo le antenne il cinese della reception capisce: a segni faccio capire che nella camera già occupata da scarafaggi io non torno. I cinesi presenti, è notte piena, tengono concilio, infine mi assegnano una lussuosissima stanza, illuminatissima, gelida. Entro, non mi convince, vedo scarafaggi anche non vedendoli, scendo nell’ingresso: due sedie, allungo le gambe ed aspetto l’alba.

Mi recai di nuovo in Cina, da solo, ai primi anni del ventunesimo secolo. Ne sono ancora esterrefatto. Non credo che un popolo in così poco tempo abbia mutato se stesso come i cinesi. Città possenti, ben tenute, alberghi sontuosi, gente sufficientemente nutrita, almeno nelle città, costruzioni da stordire, Shanghai oscura persino le città statunitensi. Di scarafaggi neanche i fantasmi del passato. Ah, incredibile. Nel 1983, quando salii sull’aereo da Canton a Hong Kong, nell’entrare, sull’ultimo scalino… scarafaggi. È la verità. Non vorrei che quello sciagurato che stanotte è venuto a casa mia sia discendente degli antichi bacarozzi cinesi. Loro non li hanno più, noi li abbiamo? Li importiamo? Gira il mondo gira.


di Antonio Saccà