mercoledì 9 giugno 2021
Ci sono diverse forme di populismo: quello ufficiale, generalmente attribuito a chi fa leva su risentimenti di pancia ed è poco incline a comunicare le proprie posizioni in modo argomentato e razionale, è di solito considerato di destra; l’altro, quello all’apparenza più nobile, è il demo-populismo, ovvero il populismo nella sua forma di sinistra, che invece di cavalcare disagio e malessere sociale si alimenta di posizioni e slogan politicamente corretti, cercando di emarginare chi non è disposto ad accettare il proprio gergo illuminato e solidale. Entrambi, hanno la tendenza più ad assecondare gli esiti dei sondaggi e a lasciarsi guidare dal popolo, i cui umori talora hanno contribuito a creare, piuttosto che a guidarlo con proposte concrete, e cioè la cui efficacia sia successivamente controllabile sulla base di riscontri oggettivi.
I successi del populismo e del demo-populismo riflettono mutamenti culturali in corso da tempo all’interno delle società occidentali, inclusa quella italiana. Nel giorno della sua prima uscita in edicola. La ragione, il nuovo quotidiano di orientamento liberal-democratico diretto da Fulvio Giuliani, pubblica al riguardo un Manifesto della libera parola scritto a quattro mani da Luca Ricolfi e Paola Mastrocola, in cui si osserva che mentre una volta la censura era considerata di destra e la libertà di parola di sinistra, ormai questo scenario è radicalmente mutato. Oggi, infatti, è la sinistra ad appoggiare le richieste dei cittadini che vorrebbero “essere messi al riparo da ogni espressione di idee, sentimenti, convinzioni che possano risultare lesive di qualsiasi singola sensibilità: è l’era della suscettibilità, come la chiama Guia Soncini. Cresce a dismisura la schiera dei suscettibili, dei potenzialmente offesi, di tutti coloro che si sentono vittime di un odio, o anche solo di una trascuratezza o maleducazione, o persino di un’intenzione”.
Chi non rispetta queste suscettibilità viene in genere considerato un interlocutore di basso profilo intellettuale e morale, tendenzialmente poco razionale e poco democratico. In pratica, chi si rifiuta colpevolmente di utilizzare il lessico spesso artificioso del politicamente corretto, avvertito come ipocrita dal comune sentire, è sospettabile di posizioni autoritarie e implicitamente violente. Addirittura, chi non asseconda tale lessico può essere considerato afflitto da fobie di varia natura che ne rendono le tesi liquidabili come totalmente infondate.
Può accadere così “che l’opposizione al politicamente corretto, troppo costosa e sconveniente negli spazi pubblici ufficiali e nell’interazione face to face, trovi solo sui social lo spazio in cui manifestarsi liberamente, per giunta con la protezione di un presunto anonimato. Ma sui social l’opposizione diventa puro sfogo, i pensieri si immiseriscono in brevi formule ad effetto, le parole si colorano di odio. Trionfano insulti e volgarità, proliferano haters e leoni da tastiera”, e in questo modo viene confermata la tesi dei sostenitori del politicamente corretto: chi si ostina a non adottare i loro parametri culturali e il loro lessico è con ogni evidenza incivile e pericoloso per la stessa democrazia.
Tutto questo clima di disagio o di paura, per cui “in ogni ambiente si teme di dire la parola sbagliata”, fa a sua volta proliferare nuove forme di conformismo in grado d’innescare in modo sempre più sistematico reazioni a catena che mortificano ogni giorno di più quella che Jürgen Habermas chiama ragione comunicativa, o quello che Guido Calogero, ancora prima, definiva spirito dialogico, ovvero quel tipo di disposizione verso il confronto razionale tra posizioni diverse che è l'abc della democrazia. Questo clima intimidatorio finisce infatti con l’inquinare le relazioni tra le persone, al punto che, come ha denunciato la femminista libertaria Nadine Strossen, sono sempre più numerosi gli studenti che hanno paura “di discutere argomenti importanti e delicati come quelli del razzismo, della violenza sessuale e dell’immigrazione, per timore di essere fraintesi, di dire involontariamente qualcosa che possa essere considerato insensibile”.
Il clima che viene così a crearsi nella società alimenta a sua volta tanto il populismo quanto il demo-populismo: chi è incline al primo trae sempre più forza e convinzione dal sentirsi discriminato da una élite politicamente corretta che tratta in modo sprezzante chi non adotta i suoi illuminati paradigmi; chi tende invece ad abbracciare tesi demo-populiste si sente autorizzato a manifestare un certo disprezzo anche a causa delle reazioni scomposte dei leoni da testiera e più in generale di coloro che, sentendosi discriminati e liquidati, reagiscono alla loro emarginazione in modo offensivo o violento. In questo modo, il lavoro di chi cerca ogni giorno di tenere aperti i canali per una comunicazione reale, in cui i punti di vista diversi dal proprio non siano demonizzati o etichettati a priori e si cerchi invece di discutere francamente nel merito di ogni questione diventa sempre più arduo, rischiando di rivelarsi inadeguato e impotente.
Un simile scenario non spaventa però i populisti e i demo-populisti, che grazie a questa spirale di contrapposizioni lessicali e ideologiche si sostengono a vicenda all’interno dei rispettivi schieramenti politici, confidando di poter continuare a mietere sempre nuovi consensi prolungando indefinitamente la contrapposizione frontale tra loro. Questa tende a sua volta a coincidere con quella, sempre più accesa, tra chi vuole imporre il suo gergo politicamente corretto e chi, reagendo in maniera spesso scomposta, conferma la tesi dei primi, i quali naturalmente non si lasceranno scappare l’occasione per impartire, spesso con una notevole dose di sarcasmo, la loro lezioncina morale ai secondi.
Anche alla luce di queste considerazioni, non si può quindi che sottoscrivere la conclusione cui pervengono Luca Ricolfi e Paola Mastrocola: “Silenziare, oggi, chi viola il politicamente corretto non è più nobile di quanto lo fosse, ieri, silenziare chi offendeva il comune senso del pudore”. E associarsi alla dichiarazione finale del Manifesto della libera parola, consultabile anche nel sito della Fondazione Hume: “I Libero-Parolisti si impegnano affinché la libertà di idee, sentimenti e parole sia sempre e ovunque salvaguardata, affermata e difesa con forza”.
di Gustavo Micheletti