Saman e Seid; due drammi e una sola vergogna

martedì 8 giugno 2021


Le cronache di questi giorni si sono concentrate su due episodi assai spiacevoli: l’omicidio di Saman Abbas, la diciottenne pakistana residente a Reggio Emilia che si sospetta sia stata uccisa dallo zio – ma con la complicità e la partecipazione di tutta la famiglia – per il suo rifiuto di accettare il matrimonio combinato con un suo cugino; il suicidio di Seid Visin, il ventenne di origine etiope ma adottato da una famiglia italiana, noto per essere una promessa del calcio.

Andiamo con ordine. Per il caso di Saman Abbas i sospetti degli inquirenti si sono subito concentrati sulla famiglia, musulmani di stretta osservanza, con la quale la ragazza aveva sempre avuto un rapporto conflittuale a causa della sua volontà di vivere “all’occidentale” o, forse, sarebbe meglio dire come qualunque diciottenne italiana, vale a dire tra scuola (che il padre le impediva di frequentare), amici, feste, cotte adolescenziali e vestiti alla moda. Per questo motivo, la giovane era stata ospitata in una casa protetta sin dallo scorso novembre, dopo aver denunciato i suoi genitori per maltrattamento e per il loro rifiuto di restituirle i suoi documenti.

L’ultimo scontro coi genitori risale al 30 aprile quando, dinanzi all’ennesimo rifiuto di farle avere i documenti, la ragazza è scappata di casa. Da lì la telefonata allo zio Hasnain Danish – ora principale sospettato – perché la riportasse a casa. Costui, tornò a casa poco dopo, da solo, sostenendo di aver sistemato tutto. I carabinieri, recatisi a casa di Saman proprio con l’obiettivo di recuperare i documenti sottratti, sono stati informati dal fratello della stessa che Saman era partita pochi giorni prima per il Pakistan, assieme ai genitori. Ovviamente si trattava di una bugia.

Le indagini hanno fatto progressivamente emergere particolari sempre più agghiaccianti: dallo zio ripreso da alcune telecamere di sorveglianza della zona, assieme coi cugini, con una pala e un grosso sacco di plastica prima di scavare, alla chat dove quest’ultimo parla di un “lavoro ben fatto” proprio nelle ore della scomparsa, fino alla testimonianza del fratello minore di Saman, che accusa lo zio dell’omicidio, sostenendo che in famiglia tutti ne avevano paura, in quanto violento e fondamentalista.

Gli inquirenti hanno ritenuto tale testimonianza affidabile e hanno provveduto al trasferimento del minore in una casa protetta. L’unica certezza è che Saman è morta. E una causa scatenante: l’islam, il suo connaturato e implicito fanatismo e la sua intolleranza.

Quanto al caso di Seid Visin, i genitori adottivi hanno immediatamente escluso che il motivo del suicidio sia stato il razzismo, che pure in passato il ragazzo sembra aver subito. In un post su Facebook di due anni fa accusava di essere stato vittima di discriminazione a causa del colore della sua pelle. Ma, per l’appunto, si tratta di due anni fa: in un lasso di tempo così lungo molte cose possono cambiare, specialmente a quell’età. Ma questo non importa minimamente ai perbenisti e ai sacerdoti dell’immigrazionismo, che subito gridano al razzismo e invocano la necessità di provvedimenti per “riformare la società”.

Tutti i principali esponenti della sinistra – Laura Boldrini, Enrico Letta e Teresa Bellanova, tanto per citarne alcuni, prendono la palla al balzo per riaprire la questione “ius soli”: Seid, sostengono, si è ucciso perché non si sentiva italiano, perché si sentiva un nero, un immigrato, un diverso, non un italiano. Di conseguenza, bisogna fare qualcosa per aiutare questi ragazzi a sentirsi più italiani: come se un pezzo di carta o una dicitura sui documenti potesse fare la differenza, quando si tratta di identificazione e di senso d'appartenenza, che sono dei fattori squisitamente psicologici, non giuridici.

Altri, come Roberto Saviano (che perde tutte le occasioni per migliorare il silenzio) puntano il dito contro il clima di intolleranza che l’avanzata delle destre – Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ovviamente – avrebbe diffuso in Italia. Si tratta di due fatti sconcertanti, chiaramente. Per quanto riguarda il suicidio di Seid, quello che suscita ancora più sconcerto – e indignazione – è l’incapacità dei crociati dell’anti-razzismo di tenere un atteggiamento discreto e rispettoso, almeno in queste circostanze, e di non strumentalizzare simili tragedie per motivi ideologici. Il razzismo non c’entra nulla, stando a quanto sostengono i genitori, che lo conoscevano meglio di tutti e più di tutti partecipavano delle sue emozioni e al suo vissuto. Ma se un ragazzo di colore si suicida – secondo alcuni – la causa non può che essere il razzismo. Come se l’unica cosa capace di far soffrire un ragazzo di colore fosse il razzismo: come se una persona di colore non potesse star male a causa di una delusione amorosa, di una tragedia personale, di un disagio esistenziale, di una depressione o di chissà cosa altro. La cosa diviene ancora più insopportabilmente sfacciata proprio per il fatto che si utilizzi un fatto simile per riportare in auge un tema controverso come lo “ius soli”, che farebbe avere la cittadinanza facile a molti immigrati per bene, ma ad altrettanti immigrati molto meno bendisposti nei confronti della società che li accoglie o comunque per nulla intenzionati a contribuire al suo benessere, ma desiderosi solo di sfruttarne i generosi programmi assistenziali.

Sul caso di Saman, tali personaggi sono altrettanto responsabili. È grazie all’anti-razzismo militante, all’immigrazionismo, a una malintesa tolleranza (che è diventata accondiscendenza) nei confronti di una religione/cultura – quella islamica – incompatibile con la società liberale e occidentale, che tali fatti si sono verificati e continueranno a verificarsi se non vi si porrà rimedio. Ma in questi casi tutto tace: la scomparsa di una diciottenne colpevole di voler vivere libera da una famiglia oppressiva a dalle catene impostele sulla base di assurde credenze religiose non sconvolge le anime belle e i tifosi del politicamente corretto. Tacciono i perbenisti, le femministe, i difensori della laicità (ma solo se si tratta di Cristianesimo, sia chiaro) e i fautori della società “democratica e plurale”. Quando sono gli immigrati e le religioni allogene a fare vittime allora si tratta solo di “incidenti di percorso”, di “casi isolati”: come se non esistessero altre Saman in giro per l’Italia e per l’Europa, che magari non vengono uccise, ma che sono tenute in stato di sostanziale schiavitù dalle famiglie, private della libertà di decidere della loro vita, della loro dignità.

Del resto, sono sempre e solo gli italiani, gli occidentali, i “bianchi”, i responsabili di tutti i mali. Vero, crociati dell’anti-razzismo e del politicamente corretto?


di Gabriele Minotti