lunedì 26 aprile 2021
“Quis fuit, horrendos primus qui protulit enses?” si domandava il poeta latino Albio Tibullo un tempo, ovvero “chi fu il primo che inventò le spaventose armi?”. Noi potremmo chiederci invece chi fu il primo ad aver ideato quest’arma psicologica di sottomissione umana che chiamiamo “coprifuoco”. Con le armi, infatti, il coprifuoco ha un profondo legame, con esse e con la guerra, visto che la evoca in uno dei periodi storici dove essa fu più frequente, quel tanto vituperato Medio Evo e che invece oggi ci si ostina ad applicare, ritenendola necessariamente democratica piuttosto che iniqua e folle come realmente è.
Mi verrebbe da dire che tale inutile e perniciosa istituzione, che non reca alcun vantaggio per la salute pubblica e men che meno per quella privata, sia soltanto il frutto di menti perverse, morbosamente affette da gravi disturbi psichiatrici, voluta da frustrati che nel delirio della loro impotentia coeundi desiderino vendicarsi dei molteplici e reiterati due di picche ricevuti in giovane età e impedire, così, una sana vita erotica e sessuale al resto della popolazione. Ironico sì, ma non credo vada molto distante da una triste realtà quotidiana.
Ma torniamo al termine “coprifuoco”, il “couvre-feu”, una misura che veniva assunta appunto secoli addietro, per cercare di scongiurare eventuali incendi domestici dovuti alla facilità con cui le abitazioni, allora per lo più costruite in legno, potevano prendere fuoco. I “fuochi domestici” dovevano essere coperti con una lastra di ghisa al suono della campana preposta all’annuncio del coprifuoco. Al tempo stesso, veniva fatto obbligo di spegnere candele, lucerne e torce. Giunto forse dalla Francia in Inghilterra, fu Guglielmo I ad applicare per primo la pratica del “curfew” per impedire gli spostamenti, mentre in seguito, ancora sul bel suolo francese, il Re lo legherà alla vigilanza notturna, in quanto agli stessi cittadini verrà dato il compito di controllare la città nottetempo per evitare non solo gli incendi, ma anche gli assassini, i furti, i rapimenti e tutto quello che di pericoloso può avvenire con il favore delle tenebre. È evidente come il coprifuoco, già sul finire del XIV secolo, diventi non un beneficio e una tutela per la gente, ma l’applicazione di uno Stato di polizia, una limitazione alla libertà individuale, ponendo tutti contro tutti e creando una zona sfumata tra i tutori dell’ordine e i criminali. Un po’ come i delatori odierni e come si vede, più i tempi cambiano più le azioni, umane e miserevoli, restano le stesse.
Non è un caso se questa bieca istituzione da tempi di guerra, volta appunto a impedire che il bagliore delle fiamme divenisse un facile bersaglio per il nemico, abbia interessato in minima parte anche l’arte e gli artisti. Inutile e sbagliato sarebbe il riferimento alla straordinaria opera di Rembrandt Harmenszoon van Rijn, conosciuta oggi come la Ronda di notte, perché essa in realtà non ritrae una milizia cittadina in marcia per le strade buie di Amsterdam, ma piuttosto l’esatto e festoso contrario. Troviamo invece il tema del coprifuoco in una suggestiva e pensierosa opera di Renato Guttuso, intitolata appunto Notte di coprifuoco a Roma, rappresentante un gruppo di partigiani che si muovono per le vie dell’Urbe durante il coprifuoco, datata 1943. Un acquerello drammatico, dai disegni aspri, frastagliati e concitati, acido e violento come la lotta partigiana, come la guerra civile del fratello contro il fratello. Si vede un giovane nel mezzo di una strada cittadina con un fucile rivolto verso l’alto. Altri sono con lui, altrettanto armati. Ai suoi piedi è disteso il corpo nudo di un uomo con le braccia aperte e le gambe divaricate, morto, mentre un altro, mostrante le terga, è inginocchiato alla sua sinistra con indosso abiti laceri dello stesso colore del sangue. Più in alto, un gallo dal piumaggio iridato canta su un muretto, annunciando forse il termine della notte, mentre alla sua sinistra procede un altro uomo armato con il viso rivolto al cielo. Ogni cosa avviene circoscritta nello spazio surreale e stregato del coprifuoco, tra i comignoli inerti di un’abitazione, mentre sullo sfondo si stagliano, abbozzate e indistinte, le sagome di alcuni edifici sotto un cielo trapunto di stelle.
Il coprifuoco illustrato da Guttuso non è però quello del Medio Evo, è piuttosto l’obbligo dittatoriale del Regime di rientrare in casa ad una determinata ora della sera e di non uscire sino al mattino successivo. Limitazione alle libertà individuali volutamente imposto dalle autorità durante la Seconda guerra mondiale per controllare più agevolmente la città e bloccare in tal maniera, le azioni dei partigiani. Una legge “fascista” dunque. Verrebbe da chiederci adesso chi siano i “nuovi partigiani” di questo principio di secolo e di millennio, se non coloro che, stanchi e disillusi dai troppi e reiterati errori di un governo incapace e inetto, non sono più disposti a soggiacere proni ai deliranti voleri di un Comitato di salute pubblica, che sta soltanto ottenendo l’aggravarsi della malattia e delle povertà d’un intero popolo.
Il coprifuoco era quello che vietava alle prostitute, nei primi anni del Seicento, di transitare per le strade di Roma dopo il tramonto, o agli uomini di frequentare bettole e osterie. Molte sono le tracce storiche di queste limitazioni – tra l’altro spesso infrante – come ci insegnano i documenti, ad esempio, della vita di Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio. Inique leggi spingono, oggi come allora, il popolo ad attuare un sottile sistema di sedizione, non da grandi ribellioni, ma da continui aggiramenti della legge. Legge, ripeto, inutile, dannosa e liberticida. Concludo ricordando quindi come tale metodo coercitivo sia sempre risultato fallimentare e non abbia mai impedito né i crimini più efferati né l’esercizio della prostituzione, del lenocinio, dei bari alle carte e neanche dello stesso omicidio.
Insomma, se le limitazioni feroci imposte da Papa Sisto V spinsero i briganti dell’Agro pontino a stare nottetempo tra le mura romane, accampati tra i ruderi, significa soltanto che il coprifuoco non è mai servito a nulla se non, au contraire, a creare una maggior forma di ribellione verso l’autorità, ritenuta non più portatrice di valori e di giustizia ma soltanto dispotica e annichilatrice.
Volete ancora dunque il coprifuoco? Amate stare chiusi in casa per timore del temibile morbo che vi possa aggradire nottetempo allo scadere delle ventidue? Siete liberi di farlo, ma lasciate siano liberi anche di poter rincasare, non dico all’alba, ma almeno all’una di notte, tutti i cittadini dabbene. E forse, a quell’ora, anche Belzebù in persona va a dormire.
di Dalmazio Frau