giovedì 22 aprile 2021
I familiari delle vittime del crollo del Ponte Morandi, al pari di quelle del rogo ferroviario di Viareggio come del disastro della torre piloti al porto di Genova, vorrebbero giustizia. Che la memoria dei loro familiari riecheggiasse in una sentenza: una sorta di monito, perché le sciagure per mano umana possano non avvenire più, o quantomeno che le grandi aziende s’impegnino a scongiurare disastri. Per quanto i familiari delle vittime insistano nel sostenere che le loro battaglie non sono concentrate sui risarcimenti ma sull’ottenere una giustizia giusta e celere, parimenti gli studi legali di assicurazioni e grandi aziende lavorano perché le responsabilità vengano rimpallate e diluite.
Questo perché colossi assicurativi e grandi aziende sono comunque partecipate da un unico e vorace padrone. Valga per tutti l’esempio del fondo speculativo internazionale BlackRock (fatturato annuo 14,2 miliardi di dollari, otto di capitalizzazione), che partecipa Atlantia (quindi Autostrade), Assicurazioni Generali (chi dovrebbe risarcire i danni), Fiat (che partecipa ai dividendi di BlackRock in Usa), Allianz (che riassicura fondi di Atlantia), ThyssenKrupp (che dopo la sciagura di Torino fornisce materie prime ad autostrade, ferrovie ed armatori in tutto il pianeta)… e la lista degli intrecci d’affari è oltremodo lunga. A questo aggiungiamo che gli studi legali, che difendono in sede civile autostrade, ferrovie ed assicurazioni degli armatori dall’evitare cospicui risarcimenti, sono gli stessi che in sede penale lavorano perché amministratori e dirigenti di grandi aziende non vengano condannati: cercano d’allungare il brodo – perché una prescrizione per omicidio colposo salvi i vertici – poi che le lungaggini sul civile rendano lontana la data del risarcimento, ridimensionando di parecchio anche le cifre.
Combattere contro gli uomini neri di BlackRock è davvero arduo, specie ora che l’Unione europea ha affidato al fondo Usa la supervisione sul Recovery fund, e non dimentichiamo che Mario Draghi (attuale presidente del Consiglio) prima del 2005 ha lavorato con i banchieri di BlackRock quand’era in Goldman Sachs, prima d’essere nominato Governatore della Banca d’Italia. Il conflitto d’interessi inviluppa non solo l’Italia ma l’intero Occidente affaristico. E francamente in tanti si chiedono cosa possano fare i tribunali di Genova come di Firenze (per le vittime di Viareggio) per fare giustizia senza subire le vendette del sistema speculativo internazionale: di quel groviglio di 007 finanziari che Bettino Craxi e Rino Formica denunciavano come gli artefici della fine della nostra democrazia.
Dalle pagine di questo giornale lo scrivente continua, comunque, a testimoniare l’importanza d’una battaglia di libertà, democrazia e giustizia per tutti i cittadini. Ha scritto a L’Opinione Adele Chiello Tusa, madre di Giuseppe Tusa, una delle nove vittime del crollo “torre piloti” di Genova avvenuta il 7 maggio 2013, ed a seguito dell’impatto con la motonave Jolly Nero. “Nel vostro articolo, citando il processo di Viareggio – afferma Adele Chiello Tusa – probabilmente vi è sfuggita la sentenza della Jolly Nero degli armatori Messina. Purtroppo, è chiaro che i potenti non vanno toccati. Il processo di Viareggio e quello sulla Jolly Nero ne sono la dimostrazione”.
“Durante il dibattimento è stata dimostrata la lunga scia di incidenti ed avarie di quella nave. Inchieste e libri sugli armatori hanno reso la verità di pubblico dominio: tante sono state le denunce sulla condotta illegale degli armatori Messina. Tuttavia Olmetti, responsabile della sicurezza della flotta navale – sottolinea Adele Chiello Tusa – è stato assolto in Cassazione. Le condanne hanno colpito solamente i piani bassi. Condannare Olmetti sarebbe stato colpire i vertici. Gli utili finanziari diventano primari rispetto alle vite umane”.
Non è certo un caso che la Jolly Nero fosse assicurata con Generali (partecipata da BlackRock) e difesa nei tribunali da avvocati che ritroviamo in molti processi che potrebbero cagionare pesanti risarcimenti alle compagnie assicurative. Stessa sorte è toccata, e per sentenza della Cassazione, alle vittime del rogo di Viareggio (32 morti): sentenza di prescrizione che, in forza delle motivazioni, ridimensiona anche i risarcimenti, permettendo che le assicurazioni non intacchino di molto utili e dividendi. Da notare che i gruppi assicurativi sono gli stessi in tutti i disastri: i giornali evitano di attaccarli frontalmente, perché è noto che intentino cause contro la stampa con richieste di danni in sede civile da stabilirsi in proporzione al patrimonio dei gruppi assicurativi.
Quasi pretendono “la libbra di carne”, come nel mercante di Venezia, ma pochi giudici hanno il coraggio di dire a questi colossi finanziari “prendi dunque la tua penale, prendi la tua libbra di carne, ma se, nel tagliarla, versi una goccia di sangue cristiano, le tue terre e i tuoi averi sono, per le leggi di Venezia, confiscati dalla Repubblica di Venezia”. Il problema è tutto qui: Venezia era autorevole Repubblica, mentre l’Italia è ora nelle mani dei mercanti, pardon mercati. Ecco l’importanza del processo per il crollo del Ponte Morandi. Dove una sentenza fatta da giudici coraggiosi potrebbe ribaltare (come già avvenuto a Torino per Eternit e ThyssenKrupp) metodiche ed abitudini consolidate. Perché questo avvenga, come giustamente sostiene Egle Possetti (presidente del Comitato delle vittime del Morandi), i magistrati starebbero valutando ogni aspetto: soprattutto quelle intercettazioni telefoniche, in cui tecnici nell’ombra di Aspi (autostrade per l’Italia) parlano di analisi di rischio non eseguite e poi di solite imprese che fanno pseudo manutenzioni.
Qualcuno fa notare che, per il crollo del Morandi, la valanga delle responsabilità potrebbe, in una sorta d’assenza di gravità, partire dal basso… anche dalle confessioni di qualche geometra che trattava con i subappaltatori. Egle Possetti non molla la battaglia, è al fronte per tutti gli italiani… perché in questo sistema prima o poi si finisce tutti vittime, sacrificati sull’altare di utili, dividendi e disumanità.
di Ruggiero Capone