lunedì 19 aprile 2021
Non si arresta l’emorragia dei giornalisti. Continuando così la categoria è destinata a scomparire. E l’Istituto di previdenza finirà inevitabilmente all’Inps. Pessimismo? In realtà c’è amarezza nel constatare la continua presentazione da parte delle aziende editoriali di progetti con solo tagli degli organici.
Dopo i 3mila esuberi del gruppo americano Sky e la falcidia di prepensionamenti a Repubblica (50+30 in due anni) arriva la richiesta del presidente e amministratore delegato del gruppo Rcs, Urbano Cairo. Da giugno scatterà per i giornalisti dei periodici un taglio di 38 unità con cassa integrazione e una riduzione dello stipendio del 30 per cento. Si tratta del quarto stato di crisi che subiscono i 134 giornalisti appena terminato (il 22 gennaio) il ciclo degli accordi di solidarietà.
L’assurdo della decisione sta nel fatto che i bilanci sono tornati in attivo, dopo che nel corso del 2020 si sono ottenuti buoni risultati economici e di diffusione. Secondo il Comitato di redazione la richiesta dell’editore “mette a rischio non solo la qualità dei giornali ma anche la loro uscita in edicola e la pubblicazione on-line”. È da tempo, inoltre, che i giornalisti chiedono di avere un piano di sviluppo e nuovi progetti su cui discutere.
Un esame dello scenario editoriale sarà compiuto a fine aprile nel corso dell’Assemblea dei soci, durante la quale risulta che l’editore Cairo intenda proporre la distribuzione di 8 milioni di dividendi, di cui quasi 5 spetterebbero a lui in quanto proprietario del 60 per cento delle quote azionarie. Da alcuni calcoli di fonte sindacale questo dividendo si aggiunge a quello di 31 milioni dell’anno precedente, che hanno fruttato al maggior azionista circa 18 milioni e mezzo.
Non c’è pace nel settore dei periodici del gruppo Rcs. La trasformazione iniziò nel 2013 con la vendita di una miriade dei testate tra cui l’Europeo, il Mondo, Novella 2000, Ok Salute. Sono poi seguite altre tre fasi di riorganizzazioni aziendali, che hanno coinvolto giornalisti, grafici, segreterie. L’obiettivo della nuova ristrutturazione sarebbe quello di raggiungere una trasformazione digitale, ancora non ben definita. Mancano, osservano i sindacati, progetti in grado di fornire strumenti adeguati, per affrontare le nuove sfide del mercato editoriale, messo a dura prova dall’emergenza da Coronavirus.
Due le critiche principali rivolte a Cairo. L’utilizzo eccessivo di tutti gli ammortizzatori sociali previsti dalle leggi dello Stato e dagli Istituti di previdenza (come cassa integrazione, contratti di solidarietà, prepensionamenti, cassa Covid). E gli emolumenti e benefici concessi all’azionista e ai manager del gruppo. Da quando Urbano Cairo, a lungo collaboratore di Silvio Berlusconi a Publitalia, ha conquistato il controllo per 130 milioni di euro del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport le sue retribuzioni sono cresciute di anno in anno. Come anche quelle del suo braccio destro, Marco Pompignoli, direttore delle Finanze del gruppo Cairo Communication e quelle dell’amministratore delegato, Umberto Farina.
Sulle entità dei livelli retributivi dei vertici aziendali è aperta da tempo una accesa polemica. Il problema, come ultimamente è avvenuto per i dividendi delle banche, riguarda, dicono i sindacati dei giornalisti e dei grafici, i sacrifici chiesti ai dipendenti a fronte dei benefici elargiti ai manager e proprietari azionari. Se c’è un quarto stato di crisi il criterio che deve prevalere è quello di pari sacrifici.
di Sergio Menicucci