venerdì 12 marzo 2021
Il Parlamento ha meno di novanta giorni per varare un provvedimento legislativo che vieti il carcere ai giornalisti come richiesto dalla Corte di giustizia europea. Era stata la Consulta, presieduta allora dall’attuale ministro della Giustizia, Marta Cartabia, a dare al legislatore italiano il tempo di un anno entro il quale adeguare la normativa vigente ai principi generali dei diritti civili europei. Qualora, per motivi vari, il Parlamento non dovesse provvedere sarà la Suprema Corte ad emettere dopo il 22 giugno il verdetto definitivo.
Si tratta di una questione di fondo. “Diventa l’occasione – osserva il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna – per bilanciare libertà di stampa e di critica e diritto alla reputazione”. Negli ultimi anni si è registrata in Italia una crescente insofferenza nei confronti dei cronisti d’inchiesta con la conseguenza che un alto numero di giornalisti è vittima di odio, querele, aggressioni, minacce.
Quello che maggiormente preoccupa è la mancanza di una adeguata una norma che contrasti le querele temerarie. La questione è riemersa con l’annuncio del premier di Italia Viva, Matteo Renzi di denunciare i giornali e le televisioni che hanno riportato la notizia della sua visita a Dubai, che ha suscitato polemiche nel mondo politico. Secondo il presidente dei giornalisti Verna “al diritto di querelare deve corrispondere sempre un diritto al risarcimento per chi ha ragione. Altrimenti la stampa libera perde anche quando ha ragione e perde la democrazia”.
Deve essere un principio certo per tutti: quando la notizia si rivela fondata occorre un risarcimento. Per il resto “difendere il buon nome, osserva ancora Verna, è un diritto e soltanto un giudice può dire chi abbia ragione”. La questione di come regolamentare la diffamazione a mezzo stampa va avanti da lungo tempo e la proposta di legge De Nicola giace in Parlamento. I tentativi di regolamentare, anche la rettifica si sono arenati nei contrasti tra garantisti e colpevolisti.
Troppo spesso si sta verificando che le querele sono presentate per impaurire i cronisti con richieste di eccessivi risarcimenti economici per bloccarne le inchieste. È stata la Corte costituzionale che un anno fa ha ripercorso le tappe della giurisprudenza della Corte Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) in materia di libertà d’espressione, richiamando in particolare l’insegnamento secondo il quale la stampa
Anche gli organi del Consiglio d’Europa hanno ripetutamente raccomandato agli Stati membri di rinunciare alle pene detentive per il reato di diffamazione, al fine di tutelare in modo più efficace la libertà d’espressione dei giornalisti e di riflesso il diritto dei cittadini di essere informati. Sulla base di queste premesse la Corte, presieduta dalla Cartabia, ritenne necessaria e urgente “una complessiva rimeditazione del bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale”.
La Corte ricordò che la libertà di manifestazione del pensiero rappresenta un diritto fondamentale “coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione” e quindi una “pietra angolare dell’ordine democratico”. La Corte sottolineò che il punto di equilibrio fissato sul piano normativo dall’articolo 595 del Codice penale e dalle norme della legge sulla stampa del 1948 si rivela oggi inadeguato e anacronistico. Norme contrarie all’articolo 10 della Cedu.
Da qui la necessità di un ripensamento complessivo da parte del Legislatore, che deve ridisegnare un equilibrato sistema di tutela dei diritti in gioco e una rivisitazione dell’apparato sanzionatorio.
di Sergio Menicucci