venerdì 5 marzo 2021
“Assolto o condannato dalla Cassazione non potrò che continuare nella mia battaglia, cioè a lottare per l’affermazione della giustizia giusta. Lo devo ai miei figli”. Il cosiddetto caso Crespi, raccontato anche in un bel libro documento da Marco Del Freo, è già nella storia oltre che nella cronaca giudiziaria. Il libro in questione, ad esempio, è preceduto da una prefazione che di per sé rappresenta in realtà una presa di posizione pesante come un macigno da parte di un ex alto magistrato, oggi emerito della Corte di Cassazione, Alfonso Giordano. Già presidente nello storico maxi-processo contro Cosa Nostra nato dalle confessioni di Tommaso Buscetta e dalla inchiesta portata in Corte d’assise a Palermo dai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Giordano sostiene che “qualcosa stride nei documenti giudiziari e soprattutto poco convincenti appaiono certe credulità che hanno costituito i plinti dell’edificio usato per condannarlo”.
Se la dichiarazione di Giordano già dice molto, il ministro della Giustizia solo qualche anno fa presentando il film “Spes contra spem-Liberi dentro”, un piccolo capolavoro fatto con Sergio D’Elia ed Elisabetta Zampurutti menzionato al Festival di Venezia, ha potuto affermare – come del resto hanno fatto anche Santi Consolo ex capo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) o il procuratore generale di Napoli, Giovanni Melillo, o l’ex direttore del carcere di Opera, oggi a San Vittore, Giacinto Siciliano – che quel film rappresenta un lenzuolo bianco contro le mafie perché capace di destabilizzarne la cultura.
Viene difficile quindi pensare che chi si intesta una operazione così sofisticata possa essere allo stesso tempo strumento delle mafie ed è una differenza che la giustizia deve saper cogliere, quando non è accecata dalle ideologie. L’attività artistica e cinematografica di Ambrogio Crespi lo ha ormai classificato come un simbolo dell’antimafia, di quella radicale, di quella alla Leonardo Sciascia. Più in generale, i temi della buona giustizia versus la mala giustizia sono la cifra della sua attività, gli fanno eco opere come “Enzo Tortora, una ferita italiana”, “Generale Mori. Un’Italia a testa alta”, ma soprattutto l’ultimo lavoro che ha vinto il festival di Salerno fatto con Klaus Davi, “Terra Mia, non è un Paese per santi” che da San Luca dà voce ai testimoni di giustizia troppo spesso dimenticati dal nostro sistema giudiziario. Don Luigi Merola, baluardo a Napoli contro la Camorra, ha definito Crespi “un esempio di lotta alla criminalità” o Benedetto Zoccola, coraggioso testimone di giustizia, che ha detto di lui: “Io la criminalità organizzata l’ho vista negli occhi, Ambrogio è un uomo perbene, una persona speciale”. Anche la politica ha fatto la sua parte, da Mara Carfagna a Sandro Gozi con testimonianze univoche e trasversali. La più convinta e appassionata è stata quella del vicedirettore del Tempo, Francesco Storace.
Il giorno 9 marzo affronterà l’ultimo grado di giudizio senza il suo avvocato Francesco Paolo Sisto, nel frattempo divenuto sottosegretario alla Giustizia che ha contribuito a stilare il ricorso in Cassazione e che sarà sostenuto in aula da Marcello Elia e da Riccardo Olivo. Lo abbiamo intervistato: anche se non era d’accordo, non ci ha negato una chiacchierata.
Ambrogio Crespi, nessuna paura del “sistema”? Cerca per caso il martirio?
Nessun martirio. No, la paura c’è. Eccome. Io ho due figli di cinque e di otto anni che capiscono tutto e sanno perfettamente chi è il loro papà. Nonostante le farneticanti sentenze di primo e secondo grado la mia fiducia nella giustizia è incrollabile e sono certissimo che a Berlino mi aspetta un giudice.
Tuttavia, tra i detenuti gira quella battuta scritta poi su una maglietta di quelle confezionate a Rebibbia: “Se hai fiducia nella giustizia sarai giustiziato”. Sarebbe un paradosso per Lei che è un simbolo della legalità…
Capisco il sarcasmo e anche il cinismo ma io non ho mai cercato scorciatoie nella mia vicenda. Io ho due figli cui sto insegnando il rispetto per la legalità, per le buone maniere, il rispetto per il prossimo. Non sarà certo questo mio percorso di malagiustizia a minare la strada della buona giustizia che è l’unico concetto reale e concreto che trasferirò ai miei bambini. Non posso deluderli con scorciatoie, affronterò il mio destino con serenità e con fiducia.
Significa che in caso di condanna si farà arrestare o magari si andrà a costituire?
Certo. Ce lo vede uno come me che dopo i film che ha fatto se ne scappa all’estero come un latitante da quattro soldi? Non ho paura del carcere, se le cose non dovessero andare come devono, mi costituirò e continuerò da dietro le sbarre, dove già ho fatto 200 giorni da innocente, la mia lotta per la giustizia giusta.
Quindi nessun compromesso e nessuna via d’uscita se non quella principale?
Intanto ci tengo a precisare una cosa: confido con estrema fiducia che il 9 marzo la Cassazione mi riconsegni alla mia vita, da uomo libero, estraneo ad ogni fatto contestato sino ad oggi. Questa storia mi ha insegnato molto, ha cambiato la mia vita ed ho cercato disperatamente di fare in modo che non mi distruggesse, trasformando il male che ho ricevuto in bene per gli altri che poi mi è ritornato. Significa cioè dare voce alle parole del poeta Fabrizio De André: “Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior”.
Marco Del Freo, “Il caso Crespi. Il caso giudiziario del regista Ambrogio Crespi. L’analisi di tutti i documenti”, Male
di Rocco Schiavone