Quel razzista di Peter Pan

martedì 26 gennaio 2021


La verità è un’altra ma non vogliono ammetterla e quindi dircela. Peter Pan è un pericoloso sovversivo anarcoide, un ribelle genetico, un irregolare che rifiuta di adeguarsi alle norme della società – nel suo caso quella Vittoriana – e si rifiuta anche di crescere mantenendo così intatti i poteri magici che sarebbero di diritto di natura per ogni uomo. Peter Pan poi ha un rapporto particolare con Trilly, la fata, oltre che con l’umana Wendy. Sarà anche un triangolo ma è pur sempre eterosessuale. Ecco perché alla nuova Disney non piace Peter Pan, perché non possono irreggimentarlo negli schemi del “politically correct” e allora si aggrappano all’ipocrita scusa del fatto che faccia uso di stereotipi offensivi ritenuti inadeguati per i minori di sette anni, in quanto i membri della tribù di nativi americani dell’Isola che non c’è vengono da lui definiti “pellirosse”. Per la stessa ragione, dovrebbero dar fuoco a tutti i telefilm di Rin Tin Tin, a “I forti di Forte coraggio” (Fort Troop in originale) e soprattutto alla stragrande maggioranza di tutte le pellicole western del periodo classico. Insomma, il reato di cui si sarebbe macchiato Peter Pan sarebbe l’aver definito i membri della tribù di Giglio Tigrato “pellirosse”. Pertanto, deve essere escluso dalla visione infantile. E di Capitan Uncino, monco, cosa vogliamo farne? Un “diversamente abile” turbato dalla perdita del proprio arto per cui necessitante di supporto psicologico?

Ah, ma non gli bastava vietare Peter Pan, impedendo così di fatto ai più piccoli di poter esercitare la facoltà dell’immaginazione fantastica che li avrebbe condotti là oltre la seconda stella a destra, i burocrati-dirigenti della Disney hanno dovuto e voluto metter mano anche su un altro bellissimo cartone animato dei tempi d’oro, quello degli Aristogatti. A parte il fatto che così s’impedisce ai più giovani di entrare in contatto con alcuni dei nomi più famosi dell’arte francese dell’Ottocento, con un mondo bohemienne e allegro, con il concetto dell’assoluta libertà felina e dell’amore possibile sempre se vero, questa volta si è voluto ravvisare nella raffigurazione del gatto siamese Shun Gon tutti i luoghi comuni dell’estremo orientale. Con buona pace di Fu Manchu e del Pericolo Giallo. In ultimo Dumbo, l’elefantino volante, accusato di mancare addirittura di rispetto verso gli afroamericani deportati nelle piantagioni di cotone degli stati del Sud. Tutti “stereotipi dannosi”, recita così l’avviso prima del film: “Rappresentazioni negative e/o denigra popolazioni o culture”.

Fortunatamente, il popolo di Faerie non s’indignerebbe mai per come è stata disegnata Trilly Campanellino, egotista, petulante, morbosamente gelosa, sessualmente ammiccante…né le razze feline avrebbero da ridire su Romeo, er miglior gatto der Colosseo, perché la fantasia, quella alta e alata, capacità tipica dell’essere umano sino a che non viene oppressa e soffocata, non guarda alle miserie e alle meschinità della politica e del moralismo, attività che evidentemente impegna a tempo pieni i dirigenti della major statunitense. È in fondo la stessa ideologia distorta e aberrante che di recente ha portato sul canale Netflix la creazione di una nuova serie riguardante uno dei più iconici personaggi della letteratura d’evasione, ma anche del cinema e della televisione, al mondo e non solo di quello occidentale: Arsène Lupìn, il ladro gentiluomo. D’accordo concedetemi per ragioni anagrafiche di riconoscere come unico solo e irripetibile nel ruolo del “gentleman cambrioleur”, quello straordinario attore che fu Georges Descrieres e che ci ha fatto sognare avventure mirabolanti, rocambolesche e sempre sul filo dell’ironia e del divertimento in una Belle Epoque fatta di belle donne, arroganti banchieri e commissari un po’ ottusi, nei primi anni della nostra vita, da ragazzi. Perché quello era Arsenio Lupìn, anarchico e giusto, elegante, raffinato e dotato d’un codice d’onore sia con la polizia sia con le donne. È ad Arsenio anche che dobbiamo, se qualcuno di noi ha imparato a comportarsi da gentiluomo. E, mi spiace per i nuovi showrunner di Netflix, se ne facciano però una ragione, Arséne Lupìn è un maschio di razza bianca caucasica, non può dunque essere di colore. No, non l’accetto e non mi va di far finta di niente perché questa scelta è lo stravolgimento irragionevole di un personaggio iconico, così come lo sono stati i casi precedenti di Artù sempre afroamericano o del “biondo Achille” che sotto l’elmo bronzeo mostrava le fattezze e la pigmentazione di un nativo dell’Africa.

Questo non ha nulla a che vedere con il rispetto, sacrosanto, delle “minoranze”, questo atteggiamento è pura ignoranza e volontà pervicace di sovvertire ciò che non va cambiato perché così è stato creato. Nessun razzismo, nessuna forma di oppressione né di denigrazione, dunque: i personaggi così concepiti dai loro autori, in quel milieu, nel loro ambiente storico, sociale, non deve essere modificato adducendo come pretesto il “politically correct”, pena l’apparire alla lunga, tutto questo, soltanto non un’immensa macchina di propaganda mistificatrice, quanto un’oscena farsa dove il ridicolo più vieto campeggia su tutti gli attori. Comunque, lo ricordo per i più distratti, Othello, assassino per raptus di gelosia di Desdemona, bianca e bionda sua amata, era di origine africane. Infatti era detto “Il Moro di Venezia”…cosa vogliamo fare?


di Dalmazio Frau