Tremila giornalisti uccisi in 25 anni

venerdì 8 gennaio 2021


Cercavano la verità. Sono stati uccisi, feriti, sequestrati, minacciati, querelati. Un quindicennio amaro per i giornalisti. Dal 2005 al 2029 sono stati uccisi 1.200 reporter per il semplice motivo, osserva un dossier dell’Unesco e dell’agenzia Ossigeno, di cercare notizie e raccontarle al pubblico dei loro giornali, radio e tv. In media, sottolinea ancora l’Unesco, ogni 4 giorni è stato ucciso un giornalista. Tra essi anche 30 italiani. L’aggravante sta nel fatto che in ben 9 casi su 10 gli assassini sono rimasti impuniti. Secondo un più ampio rapporto della International federation of journalists (Ifj) negli ultimi 25 anni circa 3mila giornalisti e addetti all’informazione hanno perso la vita cercando di dare notizie su guerre, rivoluzioni, criminalità e corruzione.

Inizio tragico del 2021 in Afghanistan con l’uccisione, in un’imboscata, del reporter Bismillah Adil Aimaq direttore della Radio Sada-e-Ghor. Aveva già ricevuto diverse minacce di morte. È il quinto degli ultimi mesi contro i giornalisti afghani: uccisa mentre andava al lavoro la giornalista televisiva Malala Maiwand, morto per un’autobomba il presentatore tv Yama Siawash, uccisa la giornalista Aliyas Dayee di Radio Liberty, agguato alla regista Saba Sahar sopravvissuta all’attentato. Dal 2010 non si è scesi mai sotto i cento morti. Ad impressionare non è soltanto il caso della carneficina nella redazione del settimanale francese Charlie Hebdo. Da quel tragico 2015 la situazione è peggiorata. E il tasso di condanne resta basso. Le cause di questa ingiustizia sono varie e vanno dal mal funzionamento dei sistemi giudiziari, dalle maglie larghe delle leggi, dall’omertà di chi ha visto e non testimonia.

In occasione della giornata internazionale dell’Onu sui crimini contro i giornalisti è stato pubblicato un dossier speciale di 24 pagine dal titolo “Guerre, giornalisti ucci, impunità” in cui sono raccontati alcuni episodi di giornalismo d’inchiesta i cui professionisti hanno rischiato e rischiano la vita per raccontare conflitti armati, sociali, trame della criminalità organizzata, malaffare dei gruppi politici ed economici. A metà 2020 nel corso del “World press freedom day” e della giornata “International day to end impunity for crimes against journalists” si sono dibattuti i temi del giornalismo senza paura o favori (dalla frase coniata a fine Ottocento dal direttore del New York Times) e quello delle garanzie degli Stati per mantenere la stampa libera, sicura e indipendente.

Il fenomeno dell’impunità ha riguardato anche l’Italia. C’è un lungo elenco di giornalisti sotto scorta: da Roberto Saviano a Paolo Borrometi, da Federica Angeli a Massimo Giletti, da Carlo Verdelli a Paolo Brizzi. In totale per il Viminale sarebbero 83 gli episodi di minacce e violenze contro i giornalisti, la metà dei quali via web e social. Un fenomeno che desta sempre più preoccupazione. Il caso più eclatante degli ultimi mesi è quello del giovane fotoreporter di Pavia, Andrea Rocchelli, ucciso a colpi di mortaio mentre documentava in Ucraina le violenze sui civili. Coinvolto nell’uccisione l’italo-ucraino Vitaly Markiv ma dopo la condanna in primo e secondo grado a 24 anni di carcere è stato assolto dalla Corte d’Appello di Milano il 3 novembre perché secondo i giudici milanesi non c’erano sufficienti prove per la condanna.  Recente è il caso della giornalista cinese Zhang Zhan condannata, a fine dicembre, dai giudici di Pechino a 4 anni di carcere per aver descritto, nel suo blog di Internet e nei video in streaming, le lacune e le omertà del Governo sull’origine del Coronavirus nel febbraio 2020 nella città-martire di Wuhan.


di Sergio Menicucci