Il Virus e la Costituzione

venerdì 8 gennaio 2021


Il diffondersi delle infezioni da Covid-19 hanno sollecitato l’adozione di provvedimenti, volti a frenare l’evolversi della pandemia, il che ha comportato delle non trascurabili conseguenze sia sul piano economico che sulla libertà personale dei cittadini.

Tali provvedimenti, certamente encomiabili, visto che essi, nella misura in cui tendono a porre un freno al diffondersi di quella che può essere definita una vera e propria epidemia, in ultima analisi, rappresentano una tutela del diritto alla salute, che è costituzionalmente garantito all’articolo 32.

Detto questo, si deve aggiungere, però, che i provvedimenti in esame sollecitano molteplici perplessità. Si consideri, infatti, che in questo caso ai vari interventi è stata data la veste giuridica del Dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri), ossia essi sono stati adottati, ricorrendo ad un atto squisitamente amministrativo.

Orbene, come si è prima accennato, i provvedimenti in esame incidono sia sulla libertà personale e su quella di circolazione. Ma tali libertà sono contemplati dalla nostra Costituzione agli articoli 13 e 16 come diritti fondamentali della persona. Prova ne sia che entrambe le norme, nel disporre che la “libertà personale è inviolabile” e che “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio”, prevede tuttavia che tali diritti possano essere limitati. Solo che le limitazioni devono essere contenute negli atti aventi valore di legge, ossia in fonti normative, che, come è noto, devono essere deliberate dai due rami del Parlamento e promulgate dal Presidente della Repubblica. In questi casi si afferma che la Costituzione prevede una riserva di legge, ossia una garanzia in favore dei cittadini. Ciò perché le limitazioni alla libertà ed alla circolazione devono essere assunte, attraverso una fonte normativa, che, proprio perché adottata attraverso una procedura alquanto complessa, possiede una considerevole “forza” politica.

Nel caso di specie, al contrario, è intervenuto il Presidente del Consiglio, attraverso un mero atto amministrativo, il che non è in linea all’evidenza con le disposizioni costituzionali.

A dire il vero l’articolo 13 della Costituzione prevede un modo anomalo di limitazione della libertà personale, solo che in questo caso si è in presenza di una fattispecie che nulla ha a che vedere con gli interventi adottati dal Presidente del Consiglio in questo frangente. La norma richiamata, infatti, prevede un caso eccezionale di limitazione della libertà personale, tanto è vero che i suoi presupposti sono costituiti dalla “necessità” e dall’”urgenza” e, in ogni caso, tali limitazioni sono provvisorie e sono adottabili solo dall’autorità di pubblica sicurezza nei casi “tassativamente indicati dalla legge”. Come può constatarsi, siamo ben lontani dai provvedimenti assunti per evitare il diffondersi della pandemia.

Come si è accennato, i provvedimenti in esame sollecitano molte perplessità: a titolo esemplificativo, essi non sono suscettibili di sindacato di costituzionalità, proprio perché assunti mediante atti amministrativi, laddove la Corte costituzionale è esclusivamente giudice delle leggi. Certamente i provvedimenti in esame sono sindacabili dal giudice amministrativo, ma sembra, quanto meno, poco opportuno portare al sindacato del giudice amministrativo provvedimenti dal forte contenuto politico e che incidono su diritti fondamentali della persona.

La democrazia si sostanzia, essenzialmente, in procedure, tipizzate dalle leggi costituzionali e ciò costituisce una garanzia per i cittadini. Ciò significa che i provvedimenti in esame potevano senz’altro essere adottati, solo che ad essi doveva essere data – come vuole la Costituzione – la veste formale della legge.


di Costanza Scozzafava