lunedì 14 dicembre 2020
Cinque anni non sono serviti ancora a fare chiarezza su uno dei più appassionanti scontri economici e giuridici tra due grandi gruppi europei dell’editoria e delle telecomunicazioni: Mediaset della famiglia Berlusconi e Vivendi del finanziere francese Vincent Bolloré. Ci vorrà altro tempo per sbrogliare l’intricata matassa partita con l’accordo dell’8 aprile 2016 sull’acquisto da parte dei francesi di Mediaset Premium (pay tv). Essendo stato poi unilateralmente disatteso il gruppo del Biscione ha portato i transalpini in giudizio chiedendo 3 miliardi di euro di risarcimento. Da qui lo scontro si è allargato fino a quando Vincent Bolloré è riuscito ad acquistare una partecipazione del 28,8 del capitale Mediaset e il 29,9 dei diritti di voti, con la costituzione, nell’aprile 2018, del trust Simon Fiduciaria nel quale fu trasferito il 19,19 per cento di Mediaset già in mano a Vivendi. Una serie di intrichi e manovre tecnico-finanziarie per scalare il gruppo italiano che ha reagito colpo su colpo. Sarà una settimana di fuoco. Al Tribunale civile di Milano è previsto lo scambio di memorie conclusionali sulla causa di risarcimento da 3 miliardi.
Altra tappa al Tribunale amministrativo del Lazio che dovrà decidere sulla delibera dell’Autorità garante delle comunicazioni che sulla base della legge Gasparri congelò le quote di Vivendi in Mediaset. Il passo si è reso necessario dopo che il 3 settembre la Corte di giustizia dell’Unione europea, su iniziativa di Vivendi, aveva stabilito che la legge Gasparri era illegittima nella parte che vietava la circolazione di capitali. In questo scenario si sono aggiunti, di recente, due fatti rilevanti: uno giuridico (Procura di Milano) e uno politico (denuncia all’Ue contro l’Italia). Il finanziere bretone (7 miliardi di dollari di patrimonio) e l’amministratore delegato Arnaud de Puyfontaine sono accusati, a conclusione delle indagini dei magistrati milanesi, di manipolazione del mercato e ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. Agli atti ci sono i fascicoli della Guardia di finanza su alcune comunicazioni Vivendi idonee ad alterare sensibilmente il prezzo delle azioni Mediaset, scese del 30 per cento tra luglio e novembre 2016. Dai documenti in possesso della Consob (l’autorità di vigilanza sulla Borsa) Vivendi avrebbe celato l’acquisto di un rilevante numero di azioni nel febbraio 2016 fino a raggiungere il 28,8 per cento del capitale e il 29,9 per cento dei diritti di voti.
La contromossa di Bolloré è arrivata dopo la possibilità di un nuovo intervento dell’Agcom sulla legittimità di concentrazioni non essendo ancora modificata la legge Gasparri. Anzi nel decreto Covid del Governo di Giuseppe Conte è stata inserita una norma che blocca possibili scalate in materia di incroci tra aziende tv e di telecomunicazione. Per i vertici della media company francese questa norma è vista come “salva Mediaset”. Dopo aver inviato una lettera al Governo italiano hanno presentato un esposto alla Commissione di Bruxelles contro l’Italia sostenendo che un simile provvedimento viola le norme comunitarie. I fascicoli su questa controversia sono pieni di pareri giuridici e di esperti del mondo economico-finanziario dal momento che alla base c’è la verifica del rispetto del pluralismo considerato che Vivendi possiede anche il 23,9 per cento delle azioni Telecom-Tim, il colosso delle telecomunicazioni. È poco probabile che un soggetto privato come il gruppo Vivendi possa avere accesso a Bruxelles ma resta il fatto che la legge Gasparri va rivista in materia di incroci. Mediaset da parte sua si prepara per l’assemblea di aprile.
di Sergio Menicucci