giovedì 10 dicembre 2020
Non c’è dubbio che il periodo che stiamo vivendo sia tale per cui la vicenda pandemica assorba gran parte dell’attenzione. D’altra parte i mass media non trascurano anche altri fatti ai quali dedicano ampi servizi non solo di cronaca ma di politica, economia, sport e persino pettegolezzi. In questo insieme di notizie e approfondimenti, tuttavia, a stento si trova traccia di un evento che, a mio parere, è fra i più notevoli e spettacolari di questi anni, cioè il perfetto funzionamento del Mose (Modulo sperimentale elettromeccanico) che protegge Venezia dall’acqua alta. Eppure si tratta di un successo ingegneristico italiano di grande rilievo che fa onore alla nostra tecnologia e che è stato trattato da servizi elogiativi da molte reti televisive straniere, fra cui Cnn e Bbc. In nessun talk show, che mi risulti, se ne è parlato con attenzione, magari intervistando i tecnici e gli scienziati che se ne sono occupati. Sono però sicuro che l’argomento sarebbe stato al centro di scrupolosi dibattiti nel caso, del resto purtroppo già avvenuto, di scandali finanziari ricollegabili a questa grande opera.
Non credo, del resto, che molti italiani si sentano mortificati da questo silenzio, forse perché la tecnologia, per loro, si identifica con i sottili cellulari di cui peraltro ignorano il contenuto elettronico, polarizzati come sono sulle “app” che girano su di essi, identificando la tecnologia con il software più che con l’hardware di cui il Mose è un mero esempio, una banale saracinesca che si apre e si chiude. Poi ci lamentiamo della scarsa affluenza dei nostri giovani alle facoltà scientifiche e di ingegneria, trascurando il fatto, evidente anche nel caso Mose, della sottovalutazione culturale che riserviamo alla tecnologia nel suo senso più alto e compiuto. Fra l’altro, nei riguardi del Mose andrebbero intervistati tutti coloro che, politici o più o meno fini intellettuali, deridevano il progetto dicendosi sicuri, non si sa sulla base di quali competenze, di un suo esito fallimentare e che ora stanno zitti o parlano d’altro.
La tecnologia, nel nostro Paese, vive da sempre un grande paradosso. Da un lato essa è stata ed è fra le prime al mondo in vari settori ma, dall’altro, è considerata, forse per un’antica propensione malamente intesa come “umanistica”, come qualcosa da lasciare a chi vuole sporcarsi le mani o misurarsi con le cose “puramente materiali”. Delle quali, però, ci serviamo poi tutti, spesso con grande soddisfazione, così come faremo, per esempio, con i vaccini per la messa a punto dei quali scienza e tecnologia ricoprono ovviamente il ruolo centrale. L’antropologia ci insegna che la cultura di una società è l’insieme degli stili di vita, dei valori e delle conoscenze che ci caratterizzano e, fra le conoscenze, un posto assai cruciale è occupato proprio dalla scienza e dalla tecnologia. Sotto questo profilo la cultura italiana attuale è decisamente sottosviluppata.
di Massimo Negrotti