giovedì 10 dicembre 2020
Esiste una Roma stregata, intessuta di ombre e misteri al chiaro di luna, che talvolta si fonde e confonde con quella conosciuta dai turisti, oggi rari, a pochi passi dal Colosseo o dai Fori Imperiali, che poco più di cinque secoli fa, era immersa nel verde dei palazzi nobiliari e curiali. Lì, in quei luoghi dei quali così poco resta, in quella Roma che scivolava lenta, solenne e morbida come una cortigiana di lusso, dal Medio Evo allo splendore del Rinascimento, resta ancora adesso un luogo magico, ammantato dalla leggenda nera dei Borgia, la scalinata che porta il loro nome e che conduce a ciò che resta del palazzo di Vannozza Cattanei, la concubina ufficiale di Papa Alessandro VI, la madre dei suoi figli impareggiabili, di Cesare, di Juan, di Lucrezia e di Joffré. Ciò che rimane di quella splendida dimora è ancora ammantata d’edera e ha visto le ultime ore di vita di Juan, prima che venisse misteriosamente assassinato e ritrovato a galleggiare nelle allora limpide acque tiberine. Ai catalani Borgia è stata attribuita ogni sorta di nefandezze, dalla stregoneria al commercio con il Diavolo, all’omicidio mediante pugnale o veleno, alla lubrica incestuosità di padre e figlia e di fratello e sorella. La tradizione popolare tramanda, dunque, che il palazzo di Vicolo Scellerato sia a volte visitato dall’anima inquieta di Rodrigo, meglio noto come papa Alessandro VI, visto vagare nottetempo ammantato di porpora con le sembianze distorte dal dolore per la perdita dell’amato figlio. C’è che afferma di averlo visto più volte, assieme alle sembianze nerovestite del figlio Cesare, salire la scalinata verso San Pietro in Vincoli.
In quella stessa via romana conosciuta con il nome di San Francesco di Paola ma nell’antica città nota come Vicus sceleratus ovvero “Vicolo Scellerato”, davanti a San Pietro in Vincoli, la seconda moglie di Lucio Tarquinio detto il Superbo, Tullia, travolse il corpo del padre, Servio Tullio, appena ucciso da suo marito, con le ruote del suo carro, arrossandosi le vesti del sangue paterno. Dicono i racconti delle comari romane, che ancora ai nostri giorni, in quei luoghi si aggirerebbe il fantasma di Tullia lasciando pozze di sangue sul terreno. Un luogo terribile dunque, la scalinata dei Borgia nel Rione Monti, ma non per questo meritevole dell’inaccettabile degrado nel quale versa oggi durante l’attuale Amministrazione capitolina, che al solito, ignava e incurante dell’infinito patrimonio artistico, storico e culturale dell’Urbe rivolge altrove le sue considerazioni, e dopo aver vietato con un’assurda ordinanza di potersi sedere sulla scalinata di Trinità de’ Monti, in Piazza di Spagna; dopo aver favorito l’asfalto cittadino in luogo degli storici “sampietrini” e – non paga – di aver gettato l’intera Capitale in pasto al caos dei monopattini elettrici, lasciateci dire che preferivamo i luoghi visitati dagli spettri sanguinari piuttosto che vederli ridotti a un ostello di derelitti con tanto di panni appesi e tappeti di bottiglie di birra vuote. Sì, meglio i fantasmi degli omicidi perduti nel tempo, in una Roma che però, allora, era il cuore pulsante del mondo e non la sua vergogna.
E non basteranno gli altisonanti proclami della prossima campagna elettorale per il primo cittadino, non basteranno le seppur pregevoli, meritevoli e condivisibili dichiarazioni da parte dei candidati in lizza per il Campidoglio, per porre freno e rimedio a uno sfacelo cominciato decenni addietro e perversamente protratto dalle ultime amministrazioni in un crescendo di sciagurata disattenzione, il prossimo sindaco di Roma avrà un compito da far tremare le vene ai polsi, e una simile, messianica figura, resta ancora vaga all’orizzonte, proprio come uno spettro nelle prime luci dell’alba.
di Dalmazio Frau