lunedì 7 dicembre 2020
Quando è richiamato in cielo un giornalista come Arturo Diaconale che ha calcato le scene dell’editoria, della politica e dello sport per decenni non solo chi lo ha conosciuto ma anche chi ha letto i suoi scritti ha avuto un colpo al cuore. Nei messaggi e negli attestati delle tante persone che ne stimavano la rettitudine, la professionalità, la simpatia si inseriscono alcune considerazioni che riguardano il mondo dell’informazione scritta e televisiva. Arturo Diaconale ha rappresentato per 40 anni un punto fermo per la valorizzazione del ruolo della stampa (non gli piaceva l’espressione i media) nella società italiana ed europea. Il più bel regalo, per lui liberale, è stato quello quando fu chiamato a dirigere l’allora settimanale “L’Opinione” che trasformò in quotidiano e da ultimo in giornale online. Era orgoglioso di aver riportato sulla scena editoriale la gloriosa testata del padre dell’Unità d’Italia conte Camillo Benso di Cavour, aggiungendo in seguito L’Opinione delle libertà. Lo fece diventare un quotidiano autorevole, punto di riferimento anche di tanti giovani che si affacciavano alla professione, partendo dalla “gavetta”, mai appiattito su posizioni di comodo. Il Dna di Arturo poggiava su convinzioni ferme, sulla determinazione di contribuire al miglioramento del Paese contro le disuguaglianze, la corruzione, le angherie.
Per la difesa della libertà e del pluralismo si ritrovò a percorrere nel sindacato dei giornalisti (all’Associazione stampa romana e alla Federazione nazionale stampa italiana) un breve ma intenso percorso con Walter Tobagi, inviato del Corriere della Sera, fino a quando fu ucciso barbaramente sotto casa in una giornata del maggio 1980 mentre si recava al lavoro, come sempre. Per lui come per molti di noi romani la prima scuola è stata “la sala stampa” di piazza San Silvestro, piena di maestri: da Enrico Mattei ai fratelli Giannini, da Teresa Bartoli a Guido Guidi, dai fratelli Zeri alla famiglia Ugolini, da Guido Paglia a Alfredo e Massimo Signoretti, da Ugo Manunta a Enrico Santamaria, da Ettore della Riccia a Gilberto Evangelisti, da Enzo Erra a Ignazio Contu e dai più giovani Enzo Jacopino, Giancarlo Leone, Ugo Bonasi, Mario Antonini. Come tutti all’impegno giornalistico quotidiano, Diaconale aggiungeva in prima fila la difesa della categoria su un versante concreto e non ideologico portato avanti dai “giornalisti democratici” e di “Autonomia” alla Andrea Barbato, Sandro Curzi, Luciano Ceschia, Sergio Borsi, Alberto Faustini, Vittorio Roidi, Miriam Mafai, Roberto Morrione, Alessandro Cardulli, Raffaele Fiengo, Giuseooe Giulietti, Roberto Natale, Gabriele Cescutti, Gabriele Zanatta, Ruggero Orlando ed altri.
Il primo contatto Diaconale-Tobagi, tramite Marco Volpati e Maurizio Andreolo, avvenne al congresso della Fnsi di Pescara del 1979. Tobagi arrivò da Milano isolato nel sindacato ma la “Romana”, che presiedeva l’assise, quando i gruppi di sinistra cercarono di impedire a Tobagi di spiegare la necessità di cambiamento della politica della Federazione su sollecitazione di Diaconale e Giovanni Buffa organizzarono per lui una conferenza, che ebbe vaste ripercussioni mettendo le premesse per battere Autonomia due congressi dopo ad Acireale portando al vertice del sindacato Gilberto Evangelisti, Guido Guidi, Giorgio Santerini, Giuliana del Bufalo, Marcello Zeri, Angela Buttiglione, Guido Paglia, Giacomo Lombardi, Mario Petrina. Un’occasione che consentì il raggiungimento di ottimi contratti, di difendere con Guglielmo Moretti l’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani) e superare all’editoria la delicata fase della trasformazione dal “piombo” alle macchinette.
Va anche ricordato lo scontro per la riforma dello statuto, la battaglia per i disoccupati e i precari della Rai, la serata d’onore al Teatro dell’Opera per gli inviati nella guerra del Golfo. Restano della gestione Diaconale anche due opuscoli preziosi, con la collaborazione del direttore dell’Associazione Stampa romana, Mario Carosi, il grafico Franco Pezzo e le copertine di Giorgio Forattini “il vademecum del giornalista” con le regole dell’informazione e il “vademecum” con le regole del sistema radiotelevisivo. L’eredità che lascia Diaconale è salvare dal baratro l’istituto di previdenza e riflettere su quale ruolo si trova a svolgere l’informazione in questa fase di crisi, che attraversa il Paese e che investe la classe dirigente politica, imprenditoriale e sindacale.
di Sergio Menicucci