Un Dpcm per incatenarli

mercoledì 4 novembre 2020


Mentre questa notte ascoltavo l’ennesima follia chiamata Dpcm, partorita da quel consesso di menti eccelse e geniali che è il Governo italiano, momentaneamente presieduto da Giuseppe Conte, validamente affiancato dal ministro alla Cultura, Dario Franceschini, ovviamente in attesa di essere sostituito da Mario Draghi appena tutti loro avranno terminato il compito di avanguardia delle legioni del Gran Re, mi sono ritrovato ad immaginare quali “verba” avrebbero utilizzato insigni scrittori e pensatori, ancorché sovente politici, del nostro miglior passato, al loro indirizzo.  Ecco che allora, di certo, lingue taglienti e padrone dell’italico idioma quali Dante, Boccaccio, Petrarca, o ancora un Niccolò Machiavelli, un Pietro Aretino avrebbero forse apostrofato il malgoverno con simili epiteti e ricercate circonlocuzioni in veste d’imprecazioni contro la pochezza dissennata di “male genti”, invocando un ritorno a tempi migliori retti da virtù e da “canoscenza”. Pertanto, forse un Farinata degli Uberti, nudo e ardente nel suo sacello di fiamme infere, o forse ancor più di lui un François Rabelais, un François Villon, avrebbero indirizzato a tanto Consiglio assiso sugli scranni, un simile serie di maledizioni e improperi.

Vi venga il cacasangue e il vermocane, la lebbra e la peste vi colgano, vil razza dannata d’infami sodomiti, manigoldi indegni di pietà, pusillanimi traditori, farabutti e mentecatti, vi prenda il cimurro delle scrofe, la pellagra e la scabbia. Voi, sterco di latrine mal spurgate, porci in brago, bestie asinine, empi botoli, cagnacci da beccaio, malanno a voi che possiate morire tra atroci tormenti, con le budella in terra, appesi per i piedi. Sordida progenie di un sacco di stracci, tenutari di lupanari, figli di cagna bastarda, mosche d’un mattatoio estivo, che il diavolo vi porti via con sé in una notte di pioggia. Voi, aborti segnati dal demonio, maiali grufolanti, calunnie del ventre gravido di vostra madre, aborrite discendenze dei lombi di vostro padre, scorregge putrescenti, budellame maleolente travestito da essere umano, vesciche di gas, otri semoventi colmi di liquame, nati cretini morirete pazzi! Leccavanzi, sudici bricconi, scimmie vanitose, leccapiedi di quart’ordine, servi nati figli d’un bordello, possiate essere smembrati e gettati al vento come la pula in un giorno d’estate!”. Questo certo avrebbero detto secoli or sono, quando la bella terra d’Italia era patria di uomini grandi e magnifici, non ancora ridotta a biascicanti figure da farsa popolana che blaterano in linguaggi d’oltralpe mal compresi, sostituendo alle parole italiane quelle britanniche, oltretutto in maniera inutile. Certo alle loro orecchie, parole quali “confinamento” e “clausura” sanno d’antico e al loro posto utilizzano l’albionico “lockdown”, oppure dobbiamo udire in reiterata e annoiante misura il tristo “resilienza” e ancora il pedante “narrazione” congiunti a molti altri, non ultimo l’aggettivo più banalmente invalso e utilizzato a sproposito che è “lucido”.

Anche l’uso pessimo che viene fatto d’una lingua complessa, articolata e musicale come quella italiana denota ormai l’abisso apocalittico dell’ignoranza supponente che regna sovrana – e qualche volta anche sovranista – in coloro che pongon mano alle leggi e all’amministrazione della polis, ma tutto ciò che possiamo fare, oltre a gridare all’alto dei cieli il nostro sconforto e a volte anche la rabbia che ci opprime il cuore, è continuare a sperare e a lottare, combattendo per la nostra individuale libertà che nessun decreto potrà mai sottrarci se siamo realmente liberi nella volontà e nel pensiero. Ecco sì, personalmente ho ragioni mie private e intime per sentirmi incatenato da innocente, da genti asservite al male comune che m’impediscono di muovermi a mio piacere, invocando un’assurda tutela sulla mia e altrui salute, professando una religione laica d’inganni e di mistificazioni alla quale troppi si sono convertiti, sacrificando il loro intelletto sull’empio altare della paura. Io no, e con me ne sono certo, pochi e felici, “banda di fratelli” seppur reclusi nei confini verdi di un Paese irreale, attendiamo la primavera e la “festa del malgoverno” perché ben verrà maggio e si accenderanno fuochi sulle colline, per danzare.


di Dalmazio Frau