mercoledì 7 ottobre 2020
Ho conosciuto Alberto Contri grazie a comuni amici dissidenti politici, che con Alberto confabulano (culturalmente) per allargare la coscienza gru (gruppi di resistenza umana) nella nostra società malata d’omologazione, allineamento, rispetto acritico del potere (e di qualsivoglia specie).
Alberto Contri è giustamente considerato il decano della comunicazione moderna italiana, prima di lui ci avevano provato Gabriele D’Annunzio, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Ungaretti (tutti poeti e comunicatori) ad affrancare la nostra cultura dallo scaffale commerciale omologante. Nel 1966 entra in Mondadori come copywriter, per poi proseguire come direttore creativo, amministratore delegato e presidente in importanti agenzie di gruppi multinazionali D’Arcy, Masius, Benton & Bowles e McCann Erickson Worldwid.
Non bastano poche righe per raccontarvi sessant’anni di vita professionale di Alberto Contri. E questo vorrebbe essere solo un invito alla lettura de “La sindrome del criceto”, libro di Contri che reca come sottotitolo “una malattia che blocca il Paese una proposta per rimetterlo in moto”. L’opera, edizioni La Vela, va alle stampe sul finire del lockdown di marzo scorso, e per molti aspetti è il seguito di “McLuhan non abita più qui? I nuovi scenari della comunicazione nell’era della costante attenzione parziale” che sempre Contri aveva pubblicato con Bollati Boringhieri.
L’analisi dell’autore ci aiuta non poco a capire la patologia sociale del nostro momento. “La figura del criceto ‘socialpatico’ – non è un refuso al posto di sociopatico – serve a definire quella categoria di persone – scrive Alberto Contri –, oggi in numero crescente, sempre più dipendenti dai social media. Questi ultimi appaiono così utili, interessanti, divertenti che, alla domanda dei ricercatori sociali ‘per tutelare la vostra privacy rinuncereste ai social network?’, la risposta è quasi sempre ‘no’. Può apparire curioso, ma ben pochi si rendono conto di quanto corrisponda al vero un vecchio aforisma del marketing, “se ti danno qualcosa gratis, significa che il prodotto sei tu”.
Ma come vengono oggi psicologicamente manipolate le masse soprattutto per orientarne le scelte politiche? “Nel saggio McLhuan non abita più qui? descrivo una condizione che io stesso ho definito – spiega Contri – ‘costante attenzione parziale’, ormai tipica di molta parte della popolazione – e in tutto il mondo – al punto che una multinazionale come la Coca-Cola ha deciso di trattare l’argomento utilizzando un video virale, ‘Coca-Cola Social Media Guard’, che ha avuto una larghissima diffusione. A causa della mancanza di tempo, le persone hanno perso l’abitudine di approfondire, leggono sempre meno, letteralmente conquistate dal linguaggio abbreviato in uso per scambiarsi messaggi, dall’estrema sintesi fornita da un’immagine, da una foto, accompagnate da un commento di pochi caratteri o addirittura solo da un emoticon”.
“Queste forme di comunicazione – sottolinea Contri – perfette per diffondere slogan e frasi a effetto, si basano su istinti che potremmo definire primordiali: la paura del diverso, degli immigrati che rubano il lavoro agli italiani o delinquono, l’odio per la casta dei politici ritenuti responsabili di vivere a sbafo, il risentimento nei confronti dell’Europa dei burocrati e via di seguito. Tutto passa attraverso un mezzo, lo smartphone – sempre più un concentrato di innovazioni tecnologiche – e magari anche attraverso strumenti di votazione come la Piattaforma Rousseau. Fa effetto sentir declamare “lo ha deciso la rete”, quando magari hanno partecipato a una votazione on line solo quattromila persone (o anche ventimila, che è sempre pochissimo!), senza alcuna garanzia di controllo da parte di un ente veramente terzo e indipendente”.
“Mentre il popolo – nota Contri – ha cominciato a correre dietro i nuovi pifferai, stuoli di manager pronti a salire sul carro del vincitore sono corsi a disputarsi le prime file della Leopolda o delle conferenze di Gianroberto Casaleggio, che addirittura fu intervistato al prestigioso workshop ‘The European House-Ambrosetti’ nel settembre 2013. A dimostrazione che non solo il popolo, ma anche molti rappresentanti della classe politica e industriale si sono fatti imbambolare da un personaggio che personalmente ritengo, a dir poco, sopravvalutato”.
Soprattutto il “criceto” di Contri è un essere umano ormai vulnerabile sotto ogni aspetto dell’identità. Il libro in oggetto ci spiega come famosi brand della moda abbiano finanziato studi mirati alla delegittimazione della famiglia. “Non solo gli Stati, ma oggi grandi marche e multinazionali cercano di imporre, con il loro potere, la teoria gender –scrive Contri – quelle che dovevano essere sacrosante campagne per la parità di genere nella società e nei luoghi di lavoro si stanno trasformando in ben altro. Il fatto è che, iniziando con lo stigmatizzare le discriminazioni, oggi si è arrivati a sposare la causa di chi apertamente discrimina, disprezza, delegittima la famiglia cosiddetta ‘tradizionale’ (quella creata da una donna e un uomo)”.
Il libro di Alberto Contri è la diagnosi perfetta a quanto noi tutti si sta soffrendo e mal sopportando, lo spegnimento dei nostri sensori civili, la nostra trasformazione in sudditi, l’anestetizzazione calcolata delle nostre coscienze. Chi nega che tutto questo venga finanziato dal deep state (multinazionali, grande speculazione, fondi vari) merita oggi d’essere sfidato a duello alla vecchia maniera.
di Ruggiero Capone