mercoledì 17 giugno 2020
Salta agli occhi purtroppo. La dignità del comportamento di Massimo Carminati all’uscita dal carcere di Oristano dove ha passato due dei quasi sei anni – quattro al carcere duro del 41 bis a Sassari – in contrapposizione agli alti lai, propagandistici e indegni, della classe politica di governo e di opposizione, per non parlare di alcuni sciacalli mediatici, che subito si sono buttati a pesce per fomentare una polemica da tre soldi sulla sua scarcerazione. Come se avessero messo fuori El Chapo negli Usa.
Mentre Carminati è stato scarcerato per decorrenza termini massimi dell’unico reato rimasto in piedi dopo anni di indagini e processi. Ha scontato più di due terzi della pena. Doveva stare fuori già dal 2017. Se ne facciano tutti una ragione. D’altronde chi ha una certa età di parabole simili – tutte rigorosamente riguardanti uomini della destra eversiva – da Stefano delle Chiaie a Paolo Signorelli passando per Francesca Mambro e Valerio Fioravanti cui è stata appioppata per ragione di stato anche la responsabilità perla strage di Bologna – ne ha viste a bizzeffe. E all’elenco va aggiunto anche l’omicidio in Bolivia di Pierluigi Pagliai portato in patria già cadavere con un aereo dei nostri servizi segreti militari dell’epoca per poi proclamarlo artefice anche lui della strage di Bologna.
Ma la vicenda di Carminati è particolarmente emblematica. Questo vecchio ex terrorista rivoluzionario di destra – costretto per il resto della sua vita dopo gli anni di piombo a vivere di espedienti, visto che il posto al ministero difficilmente lo avrebbe trovato – risulta persino simpatico nelle proprie dichiarazioni. Specie quelle rese in aula durante il processo di primo grado di Mafia capitale che chi vuole può risentirsi a Radio radicale invece che affidarsi ai resoconti di repertorio di giornalisti maramaldi che non usano la stessa protervia quando ad esempio devono parlare degli intrallazzi di buona parte della magistratura associata per spartirsi le cariche dentro e fuori dal Csm.
La7, tanto per citarne una, ha rimandato in onda per l’ennesima volta il documentario intitolato “L’uomo nero”, che poi sarebbe Carminati, che mescola un bel po’ di luoghi comuni – ad esempio lo svuotamento su commissione al caveau della banca interna a Piazzale Clodio venduto come “intrigo dei due mondi” e che invece fu una semplice rapina favorita da quattro carabinieri infedeli – con qualche spunto di onestà intellettuale. Come quello di fare raccontare a un ex sodale di Carminati l’agguato che subì da parte di uomini della Digos alla frontiera con la Svizzera che aspettavano per una soffiata Mambro e Fioravanti e che invece si trovarono di fronte lui e i suoi complici disarmati che volevano espatriare.
Risultato? La Digos prima spara e poi chiede i documenti. Lui ci rimette un occhio ma per i giornalisti ancora oggi si trattò di uno scontro a fuoco. E poi hanno pure il coraggio di denunciare le violenze della polizia statunitense contro i neri dei ghetti che peraltro spesso creano non pochi problemi di ordine pubblico. Ma tant’è. Carminati al processo su menzionato non si è lamentato, ha detto che “noi eravamo in guerra con la Digos” e che “quello che mi è capitato faceva parte di quella guerra”.
Quello che al contrario colpisce nella visione mediatica de “L’uomo nero” è quella mancanza assoluta e totale di rispetto con cui viene trattato: definirlo “il cecato” – per avere perso un occhio nella maniera su descritta – è talmente vomitevole che non basta un anti emetico per commentarlo. Ecco quindi che rileggendo il linguaggio e la cosiddetta narrazione su quest’uomo che ha passato la metà della vita in carcere senza peraltro avere ammazzato nessuno – al contrario di tanti ex brigatisti rossi che lavorano nelle coop “de sinistra”, e ogni tanto tengono lectio magistralis dalle cattedre universitarie in convegni sull’aria fritta – si riscontrano tutti i mali che hanno affossato l’intera società italiana: il populismo disinformato e un po’ paraculetto nella politica, il pressapochismo interessato e ideologico nel giornalismo e l’opportunismo politicizzato nella (e della) magistratura.
Comodo prendersela con il fascista di repertorio che non frigna, non si pente e non chiede niente a nessuno. A loro signori che si indignano piace vincere facile. Ma ormai ‘sto giochino è scoperto. Chi oggi insulta Carminati non è moralmente migliore di lui. E “accà nisciuno è fesso”.
di Dimitri Buffa