Caos metropolitano: neo-iconoclasti e iperurbanizzati

martedì 16 giugno 2020


Razzista di marmo”? Anche le statue hanno un’anima? Dai campus universitari americani del 1968, ispirati dai filosofi neo-foucaultiani, nasce un’Idra a molte teste (tante quanti sono i continenti) denominata politically correct e destinata a divorare in meno di mezzo secolo l’intera materia grigia dell’Occidente attraverso un processo di omologazione planetaria di conformismo e di ipocrisia perbenista, che ha generato mostri come il relativismo ideologico e l’imperativo assoluto della privacy. Questi cataclismi permanenti sono il risultato malato e deviante dell’errore storico di Fukuyama e dei suoi emuli, a proposito di fine della Storia! Quale “fine” di quale “Storia”? Chi sono i folli delle più famose facoltà del mondo di scienza della politica e dei loro osannati professori che non si sono accorti che nel mondo, dopo l’Urss, esisteva e resisteva un colosso totalitario comunista da 1,4 miliardi di abitanti incombente sul resto del mondo libero, come il Pcc (Partito comunista cinese) di Mao, Deng e di Xi Jinping neo imperatore del redivivo Impero celeste? E, oggi, quale altro mostriciattolo ha partorito quell’Idra ideologica in questo contemporaneo Burning America in cui i danni irreparabili del Covid-19 si sposano con quelli del ritorno in forze dei fantasmi del segregazionismo e del razzismo, a discapito sia (e soprattutto) degli afroamericani ex discendenti degli schiavi deportati dall’Africa, sia delle altre minoranze etniche?

Quel figlio malaticcio e velenoso si chiama neo-iconoclastismo ed è la forma forse più pericolosa di neorevisionismo storico che sia mai apparsa sulla Terra. Quella cioè, che fuori da ogni contesto storico, rimprovera per l’appunto a quei protagonisti di un lontano passato, in effige rappresentati, di essere oggi portatori di una memoria storica abietta e soggetta ad abiura (il commercio di schiavi; lo sterminio di minoranze; la pirateria a fine politici). Giovani generazioni senza né storia, né cultura, né idee si accaniscono contro quei simboli muti di pietra non potendo produrne altri vivi, altrettanto epocali, che segnino davvero con il loro tratto rivoluzionario e purificatore il futuro prossimo venturo dell’umanità. Né essi vedono, nella loro furia distruttrice, quale sia il veleno che li divora e di quale sostanza sia fatto. La pandemia ha infatti mostrato al mondo ciò di cui nessuno voleva prendere atto: la necessità urgente di rivedere e forse di cancellare il fenomeno delle megalopoli e delle assurde concentrazioni spaziali di molte centinaia di milioni di individui in sterminate baraccopoli, come in grattacieli alti alcuni centinaia di piani. Millenials così come le giovani generazioni immediatamente precedenti a loro ma successive a quelle dei baby-boomers, non sono in grado oggi di elaborare una teoria del ritorno alla terra, conciliando le enormi potenzialità di essere dei netizen (ovvero, gli alfabetizzati digitali che vivono e operano su Internet per la maggior parte del loro tempo di lavoro e di svago) con un piano rivoluzionario per la delocalizzazione radicale dei saperi e delle relazioni interpersonali.

Questo perché i mostri urbani delle megalopoli sono diventati, in fondo, degli immensi luna park del vizio, della rappresentazione del Se fine a se stessa, delle arti e dello spettacolo di cui, per la stragrande maggioranza delle cose e delle opere prodotte, non resterà alcuna traccia nella storia. Ma davvero, come dice The Economist del 13 giugno 2020, l’umanità iper-urbanizzata non può fare a meno dell’ufficio fisico in cui si passa molto tempo a esercitarsi in pettegolezzi, a intrecciare relazioni amicali e sentimentali, a imparare il mestiere apprendendolo direttamente dalle fonti e dagli esempi dei capi struttura, a fare meeting e breefing con mille ridicoli pretesti e giustificazioni? Davvero non è possibile un altro destino per gli ex figli degli schiavi d’America se non quello di marcire in ghetti urbani senza speranza in città assediate dalla criminalità e dalla droga e, oggi, dalla pandemia alla quale i poveri sfuggono molto meno dei ricchi e benestanti che hanno le loro case al sicuro nei sobborghi benestanti delle megalopoli? Davvero l’umanità deve vedersi trasportare come tanti capi da macello pigiati gli uni sugli altri in treni suburbani superaffollati e nelle subways, che scorrono come enormi worm di lamiera in una miriade di tunnel del sottosuolo regno incontrastato dei virus pandemici? Infatti, attualmente, la sola New York che pesa soltanto il 3percento della popolazione americana vanta il 19 percento delle vittime da Covid-19!

Ci rendiamo conto, o no, che le megalopoli hanno costituito nel tempo un furto legalizzato a causa della cementificazione e speculazione dei suoli edificabili in cui i privati proprietari dei terreni e gli immobiliaristi hanno accumulato, a spese di tutta la collettività, immense fortune che non avrebbero il diritto di possedere? I rioters e i looters (rivoltosi e saccheggiatori) hanno idea da dove vengano tutte le loro disgrazie? Hanno elaborato il concetto-base per cui i territori in cui vivono debbono appartenere a loro e a tutte le generazioni future? Allora, perché non ripartono da qui, dall’essenziale ovvero dal possesso della terra e delle sue ricchezze di superficie e del sottosuolo? Ripensino e si sbarazzino del modello delle megalopoli riflettendo sugli immensi danni e disastri che hanno procurato loro inquinando tutto l’inquinabile, in cielo, in mare come in terra. Vogliono o no liberare il loro mondo dai bamboccioni che si affollano nei luna park dei divertimenti inutili e dei paradisi artificiali, riducendo almeno della metà i loro consumi superflui in giro per il mondo? Lasciate perdere le statue e fatevi una cultura vera, unico tesoro spendibile nel futuro.


di Maurizio Guaitoli