Dall’emergenza all’urgenza: come preparare la sanità alla Fase Due

lunedì 20 aprile 2020


La particolare condizione che stiamo vivendo in questo periodo, oltre agli evidenti aspetti riguardanti la prevenzione dei contagi da Covid-19, ci pone davanti ad un altrettanto importante e forse meno considerato aspetto dell’emergenza sanitaria. Infatti, si sta assistendo ad una riduzione verticale degli interventi chirurgici e della diagnostica urgente che inevitabilmente porterà, nei mesi a venire, alla necessità di una riprogrammazione dell’attività sanitaria di routine.

Questa problematica va affrontata tenendo conto di due differenti fattori: da un lato i danni, spesso irreparabili, che si stanno accumulando; secondo, il carico di lavoro che dovrà essere affrontato nel tentativo di recuperare. In oculistica come altrove abbiamo bisogno di affrontare le urgenze, di semplificare le procedure e di un quadro della sicurezza, anche normativa, che risponda all’eccezionalità del momento.

Sappiamo di chirurgie nelle quali gli interventi di distacco di retina sono diminuiti di dieci volte. E non certo perché siano diminuiti i distacchi stessi. Non sappiamo quanti danni irreparabili si stiano accumulando per la ritrosia delle persone ad andare in ospedale e degli ospedali ad esser pronti a riceverle con sicurezza in un momento così delicato. Tuttavia, possiamo farci un’idea dell’ordine di grandezza.

“Che lo stare a casa sia un danno e un beneficio simultaneamente per la salute è un paradosso indiscutibile e comprensibile al tempo stesso – sottolinea il professor Mario Stirpe, presidente della Irccs Fondazione Bietti considerando quanto dissimili siano le precauzioni per scongiurare l’epidemia da quelle che contrastano l’insorgere delle cecità. Eppure, è un paradosso che la Fase 2 dovrà risolvere e lasciarsi alle spalle. E l’urgenza sarà il principale criterio – prosegue il professor Stirpe - sul quale si dovrà basare la riapertura e l’organizzazione dei reparti non Covid-19. Tutta la programmazione operatoria dovrà essere impostata per ordine di gravità e difficoltà, concentrando nei centri specialistici i (tanti) casi difficili e rimandando ai centri più periferici gli interventi meno gravi e impellenti”.

Per quanto fondata, però, l’urgenza non potrà essere l’unico orizzonte nel quale orientarsi. Dopo almeno due mesi di assoluto squilibrio nella destinazione e nell’impiego delle risorse, lo stesso personale sanitario che ha arginato l’epidemia sarà chiamato, esausto, a riprendere i propri posti originali e sobbarcarsi dell’arretrato accumulatosi.

La semplificazione delle pratiche sarà un altro criterio necessario e così, sarà, ovviamente, la sicurezza: sicurezza per i pazienti, sicurezza per gli operatori, sicurezza per le strutture sanitarie e gli stessi operatori di erogare cure all’interno di un quadro normativo e organizzativo che riconosca l’eccezionalità del momento.

Da tutto questo appare chiaro come l’ormai celebre Fase 2 non possa essere improvvisata né, tantomeno, sviluppata in maniera fortemente diseguale nelle varie parti d’Italia. Né possiamo lasciare, come è successo e succede tuttora in quelle stesse parti d’Italia, al coraggio e all’abnegazione dei singoli di rispondere al bisogno di salute decidendo, sulla propria responsabilità, cosa sia urgente, quale rischio si possa correre e come intervenire per scongiurarne uno ancora maggiore. Non devono più essere i singoli, nella loro generosa abnegazione, a correre rischi. Il momento di far accader qualcosa domani nel Paese è programmarlo oggi a tutti i livelli istituzionali. Possibilmente in una sola versione che valga per tutti.

Irccs Fondazione Bietti per lo Studio e la Ricerca in Oftalmologia


di Redazione