martedì 14 aprile 2020
Mala tempora currunt sed peiora parantur, pare che avesse affermato il grande Cicerone. Ce lo sussurriamo un po’tutti in questo periodo di flagello pandemico. Ma anche la Massoneria Universale non dorme sogni tranquilli, e ancora più agitati quella italiana, che potrà conoscere in tempi brevi una seria crisi di vocazioni ed abbandoni.
Due ordini di ragioni spingono in questa direzione, una profilattica e l’altra economica. La prima deriva dall’esperienza di questi giorni, l’emergenza sanitaria, che ci insegna che dovremo rassegnarci a convivere con il rischio del contagio, pur nell’adozione delle necessarie cautele, sino a quando non sarà scoperto e diffuso il vaccino.
Questo significa che bisognerà rispettare le distanze di sicurezza nelle riunioni, pratica impossibile per le tornate massoniche rituali che si effettuano nel tempio; significa che non ci si potrà scambiare più il triplice abbraccio fraterno, significa che non si potranno più celebrare alcuni riti, come quello della elevazione al grado di maestro, per esempio. Si dovrà andare avanti, quindi, con la soluzione burocratica, ma sarà un colpo al cuore per i puristi della ritualità, che vedranno oltraggiato il culto del loro amore, il rito.
Ancora più serio l’altro motivo della crisi prossima ventura, quello economico. L’esperienza claustrale di questi giorni ci ha insegnato l’importanza della pronta disponibilità di liquidità monetaria, senza la quale non si possono soddisfare nemmeno le necessità primarie di sopravvivenza; inoltre le campane a morto della nostra economia lasciano presagire un futuro durissimo per il lavoro e le famiglie. Le conseguenze pratiche si racchiudono in una sola parola: il risparmio. Come quello cui erano educate le nostre mamme nel dopoguerra. Già da ora si prefigura uno scenario sociale, totalmente diverso dal passato, che sarà ispirato a sobrietà e rigore. Con questa premessa viene da chiedersi quale posto occuperanno le spese per l’associazionismo massonico in una scala di priorità di un bilancio familiare. Soprattutto quando si pensa che l’80 per cento dei massoni italiani è rappresentato da Partite Iva, particolarmente stremate da questa congiuntura. C’è da chiedersi se saranno ancora possibili certi costi di adesione (da 400 a 1000 euro annuali) a beneficio di bilanci milionari di certe obbedienze, e soprattutto se saranno ancora moralmente e concretamente ammissibili gli emolumenti a cinque zeri goduti dai relativi gran maestri.
Probabilmente assisteremo a un nuovo mutamento genetico della massoneria italiana, la fine di un ciclo e l’inizio di un altro, più confacente ai tempi. Almeno sino al vaccino si limiteranno le riunioni fisiche a quei riti che consentano una sicurezza profilattica, ma per la parte dialettica, le discussioni tematiche, si dovrà ricorrere alle piattaforme telematiche, tipo Skype, migliorando la formazione culturale. Per l’aspetto economico, per non perire dovranno necessariamente calare certi appetiti di alcune comunità massoniche, che, sempre più fuori dalla realtà, si evidenziano in investimenti immobiliari e in esose sagre, che dirottassero invece a favore di un’azione di solidarietà nei confronti di quei massoni ridotti all’indigenza dallo tsunami economico e di una sobria amministrazione delle strutture, col minimo impegno contributivo degli aderenti.
Chissà che il coronavirus non risolva nell’arco di breve tempo alcuni atavici problemi della massoneria italiana.
di Francesco Guida