La sicurezza dell’accesso al buon cibo

lunedì 6 aprile 2020


La sicurezza alimentare e l’accesso al cibo ritornano ad essere elementi di analisi. Innumerevoli sono i progetti già avviati tra le due sponde del Mediterraneo che meritano interesse e attenzione, con idee che possono essere “esportate” in altre realtà del nostro bacino. L’emergenza pandemia ha innescato un dibattito internazionale sull’attualità globale dell’accesso al cibo, alla sicurezza alimentare e al problema della fame nel mondo. Occorre, a livello comunitario, individuare soluzioni concrete e innovative alle grandi sfide globali che sono tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda Onu 2030.

Obiettivi che ritroviamo tra le priorità dell’Expo 2020 di Dubai. La progettualità è quella di individuare nuove opportunità, liberare il potenziale dei singoli e delle comunità e provare a creare un futuro migliore, guardando all’innovazione in termini di mobilità e pensando a sistemi innovativi di logistica e trasporto, senza sottovalutare l’importanza della sostenibilità, dell’accessibilità e della resilienza delle risorse naturali, ambientali, energetiche ed idriche. Nel corso del semestre dell’Esposizione di Dubai, il Padiglione Italia ospiterà alcune tra le migliori esperienze nel campo dell’agrifood e della blue-economy del Mediterraneo che, grazie al protocollo d’intesa siglato tra il Commissariato italiano e il segretariato Generale Prima, saranno presentati a Dubai alcuni dei progetti più innovativi vincitori del bando Prima. Quella dell’alimentazione è una sfida importantissima e il recupero delle tradizioni e dei prodotti tipici del nostro bacino è un’opportunità da studiare e approfondire sia in termini di occupazione che per la salute alimentare dei popoli del Mediterraneo. Esempio autorevole è il progetto “Grani autoctoni del Mediterraneo” promosso dalla Gi.&Me. Association che, attraverso la ricerca scientifica e storica dei prodotti autoctoni del Mediterraneo, contribuirà a porre l’alimentazione al centro delle realtà sociali su cui dover puntare, a partire dalla Tunisia con la prosecuzione dell’attività riguardante il progetto “Grani antichi di Tunisia”, finanziato da Rotary Foundation. Progettualità ben sintetizzata da Franz Martinelli, presidente di Gi.&Me. Association, che ha dichiarato: “Stiamo lavorando all’idea di un progetto sui grani autoctoni, che ci auguriamo possa essere ammesso a finanziamento, perché il nostro impegno continua a essere quello di fornire un concreto contributo sull’importante attività di valorizzazione e sviluppo dei Grani Autoctoni del Mediterraneo, così da consolidare in chiave di sicurezza alimentare il legame in agricoltura tra prodotti e territorio con la storia e con la cultura, per lo sviluppo locale dei prodotti agricoli e al fine di promuovere e valorizzare anche il lavoro dei giovani nei territori di appartenenza con l’agriturismo”.

Quanto al progetto “Grani antichi di Tunisia”, quest’ultimo abbraccia l’intera filiera a partire dai piccoli agricoltori che lavorano e seminano le varietà tradizionali di grano duro, con le donne che ne fanno prodotti ad alto valore aggiunto, come il borghul, il couscous, il pane e la variegata tipologia di paste della tradizione tunisina fino alla distribuzione finale di questi prodotti ad alta capacità nutrizionale. Dalla Tunisia, dunque, una nuova visione dell’alimentazione e delle tradizioni culinarie che unisce crescita sostenibile, lavoro, occupazione giovanile e di genere e valorizza l’importanza della salute alimentare.

È importante ricordare che i grani antichi, i cosiddetti grani autoctoni, sono tipologie di cereali, diffusi e coltivati in passato, che non hanno subito modificazioni e manipolazioni da parte dell’uomo e che non sono stati sacrificati alle logiche di produzione contemporanea che ha preferito alla qualità una maggiore resa per l’industria alimentare. Tali tipologie di grano possiedono un indice di glutine generalmente più basso e devono necessariamente essere lavorati con più attenzione in quanto la lavorazione chiede temperature più basse e tempi più lunghi di lievitazione. In tema di salute e sicurezza alimentare nel campo dell’agrifood e della blue economy ricordiamo anche Surefish dedicato alla pesca nel Mediterraneo, che è uno dei progetti che ha vinto il bando Prima 2019 e che è nato da un programma coordinato da Enco, Engineering & Consulting assieme al Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Surefish vede lavorare assieme 13 partner dei 5 Paesi partecipanti al progetto (Italia, Egitto, Libano, Spagna e Tunisia), tra cui Gi.&Me. Association /Slow Food Tebourba Association.

Il progetto “Surefish” vuole far riavvicinare consumatori e produttori in un clima di fiducia da rigenerare dopo la crisi, incentrando l’attenzione su alcune tipologie di pescato che appartengono alla realtà alimentare dei paesi che partecipano al progetto. L’alimentazione, l’accesso al cibo e al pescato di qualità, sostenibilità e apertura alle comunità, rappresentano le sfide della realtà mondiale che vuole guardare ad un futuro, da riscrivere, dopo l’emergenza sanitaria che il mondo sta vivendo.Una progettualità ben sintetizzata dalle parole di Angelo Riccaboni, presidente della Fondazione Prima, che ha recentemente dichiarato: “La pandemia pone al centro dell’attenzione la tematica dell’accesso al cibo e della sicurezza alimentare”.

Quella dell’alimentazione è una sfida importantissima e il recupero delle tradizioni e dei prodotti tipici del nostro bacino è un’opportunità da studiare e approfondire.


di Domenico Letizia