lunedì 9 marzo 2020
Nel giro di nemmeno un mese siamo passati dal governatore della Toscana Enrico Rossi che dava dei “non informati” e dei “fascio-leghisti” a chi voleva imporre dei controlli più stringenti sui cinesi di rientro a Prato, al decreto che ha trasformato la Lombardia nel più grande lazzaretto a cielo aperto mai visto della storia italiana. Sissignori, qui si sta facendo la storia e pure male, molto male.
È francamente impensabile e molto oltre i confini del surreale, che quando in Cina schieravano l’esercito a sparare a chiunque uscisse da Wuhan e superasse le trincee scavate dai caterpillar per evitare che anche solo una persona lasciasse l’epicentro del Covid-19 e ci arrivavano immagini allarmanti di città fantasma e medici bardati dalla testa ai piedi come se si dovesse affrontare una guerra nucleare, qui ci fosse gente che lanciava iniziative ridicole come “abbraccia un cinese”. Altrettanto penoso che anche persone di una certa intelligenza e di un certo spessore e ruolo, come un Presidente della Repubblica, si siano piegate alla narrazione girotondina prestata al grillopiddismo del volemose bene, dell’apriamo questo e riapriamo quello.
Era il minimo che un aperitivo nella Milano che non era affatto da bere in un contesto sanitario già evidentemente allarmante con interi comuni già in quarantena, contagiasse il suo protagonista Nicola Zingaretti, persona suppostamente neuro dotata nonché politico al governo di una regione intera e segretario di un partito – seppure partito alla deriva assoluta – che si presupporrebbe possedere un minimo di lungimiranza nel valutare le situazioni. Ma, nel balletto a chi sminuiva meglio, durato settimane preziose,” l’influenza stagionale ci impegna di più”, disse.
Eppure è tanto ovvio che si richieda a chi ci deve amministrare, organizzare e anche proteggere, di possedere intelligenza, capacità di analisi, di presunzione e di deduzione, prevenzione, lungimiranza, azione e risoluzione e non l’ingegno di scegliere le tartine migliori all’happy hour: in politica l’ingenuità non si può perdonare. In questo tripudio di leggerezza, svetta poi che la comunicazione istituzionale del governo italiano nella persona di Giuseppe Conte sia stata così claudicante e ci abbia sottoposti ad un infinito stop and go senza amai arrivare al punto. Al punto ci hanno fatti arrivare di colpo i 7.375 contagiati, facendoci capire che dobbiamo stare a casa, e le persone decedute. E non le sto nemmeno a contare per rispetto, perché sono sempre troppe.
Abbiamo dovuto assistere a bollettini allucinanti in cui i malcapitati ci tenevano a sottolineare che i morti “erano anziani” o che erano affetti da altre patologie: un cane, uno, che si fosse soffermato a pensare sul fatto che erano genitori e nonni di qualcuno e soprattutto cittadini italiani che non siamo, non sono, i nostri amministratori, stati in grado di proteggere da un’epidemia misteriosa e improvvisa nonostante esista un Piano Nazionale di preparazione ad una epidemia di tipo influenzale da quel dì.
Bastava fare due telefonate a qualche scienziato serio due mesi fa per capire che il problema era la contagiosità esponenziale e la pericolosità in relazione al collasso dei reparti di rianimazione e terapia intensiva. E chi le doveva fare quelle telefonate? Io o il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica? O magari il ministro della Salute o dell’Interno? Chi doveva accorgersi che non c’era un protocollo operativo e normativo nazionale univoco?
Certo, questa è un’emergenza nazionale, ma l’italiano medio che ci governa e cavalca anche il dramma per mostrarsi come l’uomo nuovo, l’uomo tranquillo che affronta tutto con serietà e serenità, dopo le boiate low profile sul “problema” si fa addirittura sfuggire una bozza di decreto pre-bellico prima della sua entrata in vigore. Le cose non ce le hanno dette chiare dall’inizio, ma per fortuna è intervenuto il tam tam dei social, che per quanto abbia esumato una moltitudine informe di cadaveri cerebrali, anche stavolta ha fatto il suo, facendo circolare idee, opinioni, facendo trapelare opinioni anche qualificate che sicuramente sono state d’aiuto nel farsi un’opinione su quello che non ci veniva detto.
L’impressione di essere in un regime che si è fidato di un altro regime–comunista e di tipo autoritario è bene sottolinearlo – si è avuta lo stesso e non spiace dirlo, perché costoro al governo non ci dovevano stare dopo che alle urne gli italiani li avevano fatti praticamente sparire. Ma sappiamo com’è andata: non ci hanno fatti rivotare. Aggiungiamo alla tragedia del tracollo economico imminente ed ormai inevitabile, che siamo da sempre il paese dove nessuno controlla niente e alle sanzioni ridiamo in faccia, dove si “forzano” quarantene e posti di blocco all’acqua di rose per andare a sciare, dove ci si dimentica che tuo figlio vive a Lodi quando arrivi al triage e contagi tutti, dove a mezzanotte di domenica ti scapicolli alla Stazione centrale a prendere il treno fregandotene se infetti il mondo, dove ci si lamenta per la palestra chiusa, per i figli a casa e “non toglietemi il sabato sera fuori!”. In serata prevedono l’arresto fino a tre mesi per chi viola le regole di contenimento. Tutto sempre in serata, tutto sempre intempestivo.
E allora cominci a pensare che facciano bene quelli nelle carceri a rivoltarsi e ti aspetti a breve scene di panico da film dove qualcuno irrompe armato in un reparto di terapia intensiva sparando alla camorrista per mettere il boss al posto di tua nonna. O di tuo figlio, perché i protocolli prevedono già di aiutare chi ha più speranze di vita, che significa affidarsi alla speranza che gli scartati ce la facciano e lasciarli nelle mani del Signore. E chi è questo “Signore”? A quanto pare, per l’ennesima volta, uno Stato inefficiente e tardo, per non dire ritardato, che si comporta come un buttafuori da discoteca di quart’ordine, tu sì tu no, e che ha giocato con la vita della gente per settimane e ora assurge a Dio. E ormai, arrivati a questo punto, non possiamo nemmeno più contestarglielo, dovremmo solo cacciarli via. Ecco, adesso pensate se scoppiava una guerra vera, che tanto poco ci manca.
di Romana Mercadante di Altamura