Femminicidi? No, donne che muoiono inutilmente

lunedì 3 febbraio 2020


Fare la conta delle donne morte ammazzate è sempre sgradevole, così sgradevole quanto la morte inutile di tante, troppe donne, madri, mogli, sorelle, figlie, amiche che vengono mestamente ricordate solo dopo che non sono più in vita. In due giorni – due giorni – cinque donne sconosciute che potrebbero essere una qualsiasi delle nostre colleghe, vicine di casa, parenti, sono state uccise nella nostra bella Italia che si riempie di tante buone intenzioni e proclami mediatici ma non fa niente per impedire che sei donne in una settimana, sette se contiamo anche il corpo ritrovato dopo mesi e mesi, perdano la vita per mano di un uomo che al novantanove percento è fuori di testa. E, sì, certo, il fidanzato di turno è stato arrestato dalle solerti forze dell’ordine – perché ogni tanto la fortuna o le indagini fanno il loro dovere in tempi umani – ma non possiamo proprio dire che le istituzioni siano solerti nella prevenzione di quello che sta assumendo da tempo i contorni di un massacro silenzioso. È un massacro di genere? Forse lo è, forse no. Perché è ovvio che esistono anche i “maschicidi”, ma se volessimo scrivere sulle solite osservazioni piccate e dare spazio alle solite obiezioni di chi non perde occasione di dimenticare che la morte e le norme valgono per uomini e donne e sproloquia di “dati” prima di accendere il cervello, lo faremmo.

E siccome le persone e non sono solo “dati”, è ora di disquisire su quanto sia trita la logica scontata – per chi possieda un medio intelletto – che anche le donne possono essere bestie e quanto è obsoleta la solfa del delitto passionale e focalizzare l’attenzione sull’isolamento di migliaia di donne italiane tra mura domestiche e la loro riduzione in una schiavitù economica e psicologica, cosa che non viene mai presa in considerazione da nessuno come problema a monte. Sì, certo, all’aumentare della visibilità del fenomeno, l’associazionismo ha “fatto rete”, sono state create fattispecie di reato che prima che il problema diventasse di pubblico dominio non esistevano, eppure non si riesce a trovare né un adeguato supporto per le donne che vivono in situazioni di difficoltà relazionale o situazioni limite e nemmeno un meccanismo di individuazione preventiva dei disturbi mentali e comportamentali che nella stragrande maggioranza dei casi portano a questi drammatici epiloghi.

Quando vai al Pronto soccorso o in caserma a denunciare di aver preso le botte perché hai messo una gonna troppo corta, hai salutato un amico al bar o non hai voluto sposare il tizio che la famiglia aveva scelto per te, a parte l’ovvio fatto che è già troppo tardi, l’unica cosa che percepisci è sì l’allarme ma soprattutto l’inadeguatezza degli operatori e il grande punto interrogativo su cosa succederà dopo questo – spesso a lungo soffocato –grido d’aiuto. O magari da qualche parte, in qualche realtà d’eccezione amministrativa, gli operatori li avranno pure formati, magari li avranno allertati, magari ci avranno anche dato strumenti spuntati come gli “ordini di protezione” o i braccialetti elettronici, ma perché, perché nessuno ha ancora capito che sul territorio nazionale c’è un disagio mentale diffuso e spesso omertosamente avallato da convinzioni culturali patriarcali? Il massacro è di genere perché il problema principale è qui, è esattamente qui. Perché non esiste un protocollo operativo preventivo di “valutazione del rischio”, una verifica istituzionale, non privata o personale, dell’esistenza in certi contesti di disturbi cognitivo comportamentali gravi come narcisismi patologici e psicopatie socialmente pericolose varie? Perché se mi reco a denunciare un compagno, un padre o un marito violento nessuno si sincera di appurare in via preventiva se quella persona ha tutte le rotelle a posto? Perché nessuno ha ancora inventato un vero meccanismo di aiuto e di allarme, soprattutto sociale, un percorso di segnalazione e cura obbligatoria dei soggetti che vengono già individuati come a rischio? (Avete mai provato a ottenere un trattamento sanitario obbligatorio? È praticamente lettera morta).

Perché la cialtronaggine superficiale in Italia deve sempre avere la meglio e si deve sempre correre ai ripari quando il danno ormai è fatto? Che ci facciamo col “Codice rosso” le nuove “norme sprint” – che solo un ebete poteva chiamare così – in vigore da luglio, una volta che ci hanno spaccato i denti, gli zigomi e le costole e le anche, una, due venti volte? Sì, belle le nuove fattispecie di reato, ce le sbattiamo in fronte, perché prima di arrivare alla prosecuzione del reato siamo già concime per fiori. Il male non va solo punito, va anche prevenuto.

Sopportatelo voi di prendere l’ascensore con l’angoscia di essere assalite nel buio, cambiate voi numero di telefono, città, amici, andateci voi in una “casa protetta”, mollate voi la vostra casa, la vostra vita, ritrovatevi voi senza un soldo per via di un marito violento o di un fidanzato ossessivo o di una famiglia di drogati e disagiati ma anche di apparentemente irreprensibili professionisti e poi me lo raccontate se vi continuate a domandare il perché di una tale ingiustizia nessuna istituzione si è fatta carico prima di rovinarvi la vita. E il bello è che questi esimi legislatori lontani dalla realtà della vita quotidiana, sono anche boriosamente convinti, di “salvarvela”, la vita, invece di evitarvelo, l’inferno. Perché dobbiamo sempre salvarci da sole? Perché tutti questi squilibrati devono girare sereni e poterci pedinare, sputare, buttare un acido in faccia invece di essere rinchiusi in terapia? Perché tutte queste donne devono continuare a morire inutilmente?


di Romana Mercadante di Altamura