La Chiesa di Francesco: una critica a Fusaro

venerdì 31 gennaio 2020


Circola da qualche tempo in rete un video che ha come protagonista Diego Fusaro, persona intelligente e spesso di originale ed accattivante pensiero.

Tuttavia, in questo caso mi pare Fusaro ceda, senza avvedersene, ad un errore di prospettiva che, sia per la portata del tema trattato, sia per gli strumenti concettuali adoperati per valutarne la consistenza, lo conduce in una sorta di vicolo senza uscita.

La tesi di fondo da Fusaro sostenuta, e che qui riassumo in modo succinto, è che l’attuale Pontefice Francesco sta portando la Chiesa ad una progressiva dissoluzione, promuovendone una sorta di crescente mondialismo immanentista, nutrito di valori tendenzialmente mondani, a scapito del messaggio genuinamente evangelico ancora invece veicolato da Papa Benedetto XVI.

Per suffragare questa tesi, Fusaro ricorre ad una similitudine molto suggestiva, quella tra Francesco e Gorbaciov. Come questi, mettendo in opera la cosiddetta Perestroika – che vale “ristrutturazione” – causò la implosione dell’impero sovietico, consegnandone le sorti al più sfrenato consumismo capitalistico di stampo americano, in modo analogo, quello, attraverso le sue ripetute iniziative terzomondiste, sta propiziando la dissoluzione della Chiesa, consegnandone il destino ad un respiro puramente immanentista, antioccidentale, pervaso da un sotterraneo e pervasivo nichilismo.

Al di là della suggestione del paragone – già, alle prime viste, alquanto forzato – occorre correggere la rotta del cammino di Fusaro, attraverso alcune osservazioni.

Innanzitutto, dal punto di vista strettamente storico, va ricordato come al pari della Perestroika – cioè della ristrutturazione organizzativa e politica della società e degli apparati sovietici – Gorbaciov promosse e realizzò la Glasnost, che vale “trasparenza”.

Nell’azione politica del leader russo, la ristrutturazione della società, se non accompagnata dalla necessaria trasparenza degli assetti istituzionali, finalmente liberati da quella cappa di piombo che era rappresentata dal silenzio e dalla opacità tipicamente sovietica, non avrebbe raggiunto lo scopo che egli invece si prefiggeva: il sorgere della democrazia; fragile certamente, incerta, parziale, ancor oggi esposta al rischio dell’autocrazia, ma ontologicamente diversa dal comunismo.

Nessun osservatore poi, appena avvertito e che non fosse ingenuamente filoneista, immaginava seriamente che il trapasso dalla dittatura pluridecennale del comunismo ad una vera democrazia sarebbe avvenuto senza problemi e senza spargimenti di sangue (in senso reale e metaforico): come infatti avvenne.

Meraviglia perciò che Fusaro, pur citando la Perestroika, taccia della Glasnost, ignorandola del tutto. Se dico questo, non intendo cedere ad un mal celato senso, qui inutile, di acribia storiografica; intendo invece segnalare che ciò che accomuna per certi aspetti Gorbaciov e Francesco non è tanto la ristrutturazione – rispettivamente dell’impero sovietico e della Chiesa – quanto, assai di più, la trasparenza.

È infatti proprio sul piano della trasparenza che il governo di Francesco sta giocando le sue più ardite e convincenti carte, ma Fusaro forse non se n’è accorto.

Conventi, monasteri, parrocchie, seminari, gli stessi palazzi apostolici stanno progressivamente diventando, dopo secoli di impenetrabile oscurità e di ostinati silenzi, luoghi trasparenti, dove non sarà più possibile consumare segretamente misfatti esecrabili come quelli nascenti dalla pedofilia o dalla sopraffazione indisturbata e protratta nel tempo di suore e ancelle consacrate.

E ciò si deve a Francesco che ha continuato una indispensabile azione finalizzata appunto alla trasparenza, già inaugurata da Benedetto XVI. Lo stesso dicasi per le finanze vaticane e per lo Ior, in relazione al quale il Vaticano ha inaugurato una nuova politica, prima impensabile, di piena collaborazione con le istituzioni dello Stato italiano, senza nulla nascondere, in piena trasparenza.

Si aggiunga che la Chiesa non teme – e non deve temere – simili denunce, memore dell’ammonimento evangelico secondo il quale “oportet ut scandala eveniant”: il problema sarebbe insolubile se gli scandali continuassero per anni a nascondersi sotto il tappeto, non se, portandoli alla luce, vengano invece rimossi e scongiurati.

E tuttavia, c’è ben altro nella posizione di Fusaro che non convince e che va brevemente evidenziato. Ed è che Fusaro, preoccupato, dal suo punto di vista, di criticare l’operato di Francesco quale reggitore della Chiesa, mostra di non comprendere come la Chiesa sia qualitativamente qualcosa di molto diverso da ciò che lui sospetta.

Fusaro pone al centro della sua critica, infatti, la Chiesa gerarchica, quella cioè costituita dai vertici della Curia romana, ma dimentica che la Chiesa è fatta anche – e forse principalmente – dai “militanti”, da tutto il popolo di Dio, da tutti coloro cioè che si riconoscono in una sola fede: oltre un miliardo di esseri umani.

Non solo. Fusaro critica le scelte del Papa con lo stesso metro che si userebbe per criticare quelle di un capo di Stato o di governo, utilizzando un armamentario concettuale del tutto improntato alla critica storico-filosofica, ma completamente privo di una pur necessaria dimensione teologica e spirituale. Egli commette lo stesso errore in cui incorrerebbe chi volesse giudicare una tela di Caravaggio, analizzando la composizione chimica dei colori, la forma delle pennellate, la trama delle tessiture, ma dimenticando completamente di misurarsi con lo spirito dell’opera, che è certo il solo che conti per intenderla e lasciarsene affascinare.

Ebbene, chi voglia comprendere la Chiesa – nella prospettiva della fede – non può dimenticare che essa è mossa, alimentata, intrisa dallo Spirito che la chiama a custodire il “depositum fidei” lungo il cammino della storia: questo, e non altro, è il suo compito ultimo e reale.

In questa prospettiva, ogni pontificato va visto e compreso nella linea della successione apostolica che lo sostiene, lo prepara e lo giustifica. Così, gli ultimi tre pontefici – quali “costruttori di ponti” – hanno espresso, Giovanni Paolo II, la via della Speranza (dalla paura, dai totalitarismi, dalla guerra); Benedetto XVI, la via della Fede (in Cristo, nell’uomo, nella libertà); Francesco, la via della Carità (verso i più poveri, verso le nazioni affamate, verso i soli e gli abbandonati).

Essi hanno propiziato, ciascuno a suo modo, una autentica epifania della Chiesa e dello Spirito articolata attraverso le tre note virtù teologali che di entrambi rappresentano la sostanza teologica.

Sicché, valutare il papato di Francesco isolandolo dalla continuità con i precedenti lungo la linea della successione apostolica e facendone anzi una realtà contrapposta a quello di Benedetto XVI – come predica Fusaro – vuol dire non capire nulla non solo di Francesco ma neppure del papato in quanto tale: errore in cui oggi molti cadono.

Certo, Francesco predica la carità, e ciò vuol dire compromettersi, “sporcarsi le mani”, a volte far arricciare il naso… ma questo è il prezzo da pagare per chi voglia mostrare cosa ciò significhi, anche per conoscere fino in fondo come sia fatto il mondo .

Per questo, S. Agostino poteva annotare che “non intratur in veritatem, nisi per caritatem”: non si conosce se non si ama. Si aggiunga, come i credenti ben sanno – anche per consapevolezza storica (si pensi che durante la cosiddetta cattività avignonese si fronteggiavano addirittura tre diversi Papi) – che la Chiesa è fatta dagli uomini, ma non si fonda sugli uomini; e che gli uomini possono errare anche gravemente, senza che la Chiesa ne possa soffrire oltre un certo limite.

Per questo, Hans Urs von Balthasar usava definire la Chiesa, con evidente ossimoro, come “casta meretrix”, per significare che, per quanto essa possa sbagliare, rimarrà sempre fedele al suo fondatore e a se stessa.

La Chiesa non si perderà mai, checché ne pensi Fusaro. Del resto, siamo stati avvertiti: “non prevalebunt”!


di Vincenzo Vitale