mercoledì 31 luglio 2019
Spero che nessuno in Italia osi seriamente pensare che si debba celebrare in America un processo riguardante l’omicidio di un carabiniere, commesso da un cittadino americano in territorio italiano. Se qualcuno lo avesse pensato, è bene precisare che l’erosione delle basi della sovranità territoriale mette in crisi la stessa ragion d’essere dello Stato come detentore del potere costituito. Di ogni potere costituito, anche del potere impositivo, giacché non si capisce per quale ragione i cittadini italiani debbano pagare le tasse a uno Stato che non li difende e rinuncia a punire coloro che offendono i loro diritti.
La questione giuridica della possibile - e da taluno invocata - estradizione non si pone nemmeno. Lo Stato italiano afferma, all’articolo 7 del Codice penale, il suo diritto a punire perfino i cittadini stranieri che all’estero commettano reati ai danni della sua personalità, offendendo le “insegne” della sua sovranità (per esempio con la contraffazione del sigillo di Stato). Ovviamente, nell’ipotesi, tale interesse punitivo può essere coltivato solo a condizione che il reo venga estradato in Italia. Ma se dunque lo Stato italiano invoca, nel consesso internazionale, il suo diritto a punire lo straniero che commette reati all’estero, come può rinunciare a perseguire il reo che uccide un pubblico ufficiale, nell’esercizio delle funzioni direttamente espressive della sovranità statuale, all’interno dei suoi confini territoriali? Va da sé che nessun Trattato o Convenzione internazionale prevede o potrebbe prevedere una rinuncia simile, la quale sarebbe intrinsecamente contraddittoria e costituirebbe una vera impensabile “idiozia”, per la semplice ragione che una convenzione giuridicamente valida può essere stipulata sola tra soggetti, che si riconoscono reciprocamente sovrani sul proprio territorio.
Il caso dell’omicidio del carabiniere non può essere accostato alle precedenti vicende del Cermis e del sequestro di Abu Omar, in relazione ai quali lo Stato italiano, a torto o a ragione, rinunciò al suo diritto punitivo. Nell’una e nell’altra vicenda, entrò in ballo la “ragion di Stato”, ossia l’opportunità politica di rinunciare al diritto punitivo (interno) a fronte di un interesse internazionale (supposto) superiore. Lo spericolato acrobata dei cieli, che tranciò il cavo della funivia, e i sequestratori dell’imam agivano nell’esercizio di funzioni pubbliche (uno come militare, gli altri come funzionari di polizia), le quali furono ritenute sovranazionali (non entriamo nel merito, se a torto o a ragione), in quanto portatrici di un interesse pubblico della comunità internazionale, che controbilanciava quello dello Stato italiano. La rinuncia al diritto interno era comunque giustificato in vista di un interesse “superiore”; si verteva comunque nell’ambito di un bilanciamento di interessi in conflitto. E bisogna riconoscere che la funzione di difesa della Nato (nel caso del Cermis) e la lotta al terrorismo internazionale (nel caso del sequestro di Abu Omar) sono comunque riconoscibili in astratto come interessi degni di tutela.
Ma, nel caso di specie, di quale interesse “superiore” sarebbe portatore il giovane americano dedito all’alcool e agli stupefacenti? Nessun bilanciamento di interessi in conflitto potrebbe giustificare l’“idiozia” della rinuncia italiana al suo diritto, internazionalmente riconosciuto e mai messo in discussione, di perseguire i reati commessi sul suo territorio, tanto più a danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Semmai la vicenda odierna può essere accostata a quella di Amanda Knox. In quel famoso caso giudiziario entrò in gioco e fu messa in discussione l’efficienza della macchina giudiziaria italiana. Non certamente la legittimità internazionale della giurisdizione italiana. La stampa americana si dolse - a mio avviso, non del tutto a torto - dei merito e del metodo delle indagini e delle istruttorie dibattimentali, nonché delle lungaggini processuali; non certamente del fatto che la giustizia italiana fosse l’unica competente sulla vicenda.
In ragione di ciò, mi pare assolutamente inverosimile un’estradizione che sottragga all’imperio della giustizia italiana un reo, portatore di nessun interesse sovranazionale. Ma l’Italia è stupefacente sotto molti profili e nulla può essere escluso a priori. C’è chi si adopera per “dimostrare” che le stanze delle caserme dei carabinieri somiglino alle celle di Abu Grahib o a quelle di Guantanamo. Costui potrebbe sperare che il processo si svolga lontano dai luoghi di “tortura”. In verità, la foto della benda sopra gli occhi dell’americano indagato, non si sa da chi e per quale ragione divulgata nel web, è indicativa solo di quel minimo livello di coercizione psicologica, assolutamente necessaria per ottenere risposte veridiche in casi del genere.
L’Italia toccherebbe il fondo della sua credibilità internazionale e del suo prestigio nel consesso delle Nazioni, nella malaugurata e comunque inverosimile ipotesi che una inesistente “ragion di Stato” fosse invocata per giustificare la rinuncia all’esercizio della sua sovranità. Ovviamente non mancano nel nostro paese gli “esterofili” autolesionisti, i quali, pur di combattere contro gli inesistenti spettri del “sovranismo”, sono ben disposti a rinunciare alla sovranità del popolo italiano, solennemente proclamata dalla “Costituzione più bella del mondo”.
di Michele Gelardi