giovedì 14 febbraio 2019
Un aforisma, un commento - “Una vecchia battuta dice ‘quando parli, assicurati di connettere la bocca al cervello’. Già, purché uno non lo scambi con qualche altro organo”.
Tutto è iniziato con quella che è stata definita, alla fine del secolo scorso, la “spettacolarizzazione” della politica. I cosiddetti talk-show prima maniera si muovevano sulla base di una correttezza linguistica ereditata dalla televisione degli anni precedenti. Tuttavia, a differenza della famosa trasmissione “Il convegno dei cinque”, che i meno giovani ricorderanno, nella quale la compitezza era d’obbligo, i talk-show hanno ben presto preso la direzione della trasgressione linguistica, del litigio, dell’attacco personale o addirittura degli insulti, ossia di un miscuglio di ingredienti capaci di trattenere il grande pubblico, di far parlare e, in definitiva, di incrementare gli ascolti.
La situazione si è ulteriormente aggravata con l’avvento di Internet e dei così chiamati social media che hanno consentito a milioni di persone di intervenire, pensando di venire letti, sui più disparati argomenti e, in particolare, sulle cose sentite dire da questo o da quello in un talk show. Lo spettacolo si è così gradatamente arricchito, si fa per dire, di eleganti modi espressivi in cui la volgarità, prima trattenuta e riservata a colloqui di ordine goliardico, ha prevalso non solo sulla buona educazione ma sullo stesso pudore e sul rispetto non solo per gli altri ma per se stessi.
Il processo è poi stato completato dall’originale e stupenda invenzione del “vaffa” , pronunciato in piazza e subito dopo iniettato a grandi dosi nei circuiti telematici come si trattasse di un profondo e innovativo messaggio ideale. Che le leggi dell’imitazione, intuite dal sociologo Gabriel Tarde nel secolo XIX, valgano anche per il fenomeno di cui stiamo parlando è fuori dubbio: le volgarità pronunciate con sussiego e durezza si sono diffuse a tal punto che molti non vi fanno nemmeno più attenzione, come facessero parte di un argomentario normale e legittimo, e sono state adottate persino da vari giornalisti e uomini politici, o sedicenti tali.
Dopo il “vaffa”, espressioni come “supercazzola”, “chi se ne frega”, “rompicoglioni” ed altre ancora più spregevoli fanno ormai parte del lessico standard dei social media e non raramente di talk-show in cui i conduttori tollerano la volgarità con una benevolenza degna di miglior causa.
In questo quadro, fatto di parole e parolacce e testi aggressivi battuti sulla tastiera del computer, la brutalità umana, sempre in agguato, è cresciuta a dismisura ma, raggiunto un certo livello, ha dovuto constatare la propria relativa irrilevanza, nel senso che la realtà delle cose, politiche ed economiche, vola per conto suo e la sua dinamica non è sensibile alla volgarità né all’ignoranza: la crisi, i debiti da pagare, le imposte, l’occupazione, la recessione avvengono e basta, con spietata concretezza. La concretezza è esattamente ciò che manca a chi fa uso anche del più violento turpiloquio, poiché con le parole non si va lontano e la gratificazione che viene fornita dalla possibilità di insultare a piacimento finisce per risultare insufficiente e senza riscontro. Internet è silenziosa, mentre la realtà è fragorosa, concreta, tangibile e dura. Ecco allora l’avvento dell’azione di piazza, complemento e realizzazione della parola. Insomma, dalle parole ai fatti. Sicché per qualsiasi ragione, giusta o meno giusta, si organizza una manifestazione rumorosa, fisicamente concreta, non raramente accompagnata dalla distruzione delle cose e colorata per poter essere facilmente riconoscibile e distinguibile da altre, con tanto di convocazioni grazie al passaparola sui social media nonché con la certezza della spettacolarizzazione garantita dai talk-show che inevitabilmente se ne occuperanno.
Sintomi di una rivoluzione incipiente? No, si tratta solo di un marasma crescente causato dalla gretta e diffusa convinzione che poche parole, magari urlate e grossolane ma che presentano con estrema semplicità cause e d effetti, colpevoli e vittime di ciò che non va, siano sufficienti a disegnare l’azione politica. Un problema molto serio per le democrazie contemporanee che sopravvivono solo se tutti rispettano le regole. Prima di tutto quelle del buon gusto.
di Massimo Negrotti