mercoledì 2 gennaio 2019
Immaginiamo per un istante che questo Capodanno non fossimo stati né a Matera, dove andava in onda Amadeus e il suo “Anno che verrà”, né a Bari, dove supponiamo che la povera Federica Panicucci si sia surgelata nel condurre “Capodanno in Musica”, e non fossimo stati nemmeno depressi in pigiama a guardare per la tremilionesima volta “Tutti insieme appassionatamente”, “Il Segreto” o i cartoni animati (figuriamoci Netflix o Prime, questi sconosciuti).
Nossignore, illudiamoci, per un istante, sogniamo, di non aver visto in dieci milioni acclarati (e quindi molti di più), il discorso alla nazione del nonno della Repubblica Mattarella che metteva a letto i più piccini ricordandogli con garbo e naftalina che, ancora nel 2019, siamo succubi di una piaga bicentenaria chiamata mafia e ci invitava, tutti, con una retorica antidiluviana, a ritrovare i buoni sentimenti che albergano nel cuore dell’homo italicus e che non devono permettere di imporre tasse sulla bontà.
Gli stessi sentimenti di chi con le sue tasse ha accolto con bontà anche chi ha massacrato e fatto a pezzi una ragazzina o di chi ne ha drogata e sopraffatta un’altra, ma su questo il nonno d’Italia sorvola e parla solo della vittima “qualificata” dell’attentato di Strasburgo e senza nemmeno sfiorare il concetto di terrorismo o di “islamico” ma facendo appello ad una ormai palese necessità di sicurezza: tutto nella norma dell’acqua di rose presidenziale e tanti cari auguri. Anche ai poveri sfollati di Genova e di Amatrice, una passatina e via, verso l’infinito e oltre.
Dimentichiamo per un attimo lo spettacolo da due soldi, in quanto realizzato in evidente economia, di mezzi e di idee, andato in scena sulla rete ammiraglia della Rai e la Lamborghini fiammante - totem assoluto del poveraccio medio - con condimento di turpiloquio rap, diffuso su Canale Cinque e facciamo finta che il Capodanno 2019 lo abbiamo trascorso altrove.
Tentiamo, con tutte le nostre forze di casalinghi festeggiatori, mangiatori di cotechini, mazzancolle e capitoni, danzatori di trenini sovrappeso, di non aver dovuto leggere poi la neo direttrice di Rai Uno declamare fiera che quella specie di cosa inguardabile e ammuffita sia stato un “trionfo di qualità fatto di seri professionisti e di talenti in grado di offrire la migliore rappresentazione televisiva del Paese”.
Fingiamo anche di non aver fatto zapping sul circo (no dico: il circo...) e libriamoci ad altezze inarrivabili per i potenti mezzi della televisione della parrocchietta e catapultiamoci, come in un sogno, ma lucido, negli Stati Uniti d’America. Se fossimo stati a New York, ad esempio, avemmo visto esibirsi sulla Abc Christina Aguilera, a Los Angeles performers del calibro di Kane Brown, Camila Cabello, The Chainsmokers, Ciara, Dua Lipa, Shawn Mendes, Charlie Puth e altre superstars. Sulla Nbc avremmo potuto ascoltare John Legend and Jennifer Lopez ( mica cotica...) per magari chiudere in bellezza su Fox con Sting, Robin Thicke, Florence and the Machine.
Insomma: musica vera, spettacolo vero, intrattenimento vero, qualità vera, ricchezza vera, professionisti veri, specchio della nazione vero. E invece, invece, in casa nostra, letteralmente, il vecchio che avanza: Massimo Ranieri, Red Canzian, Michele Zarrillo, Gianni Togni, Fausto Leali, Ivana Spagna, Alan Sorrenti, Donatella Rettore, i Formerly of Chic, Massimo Di Cataldo, Lisa e i Jalisse e l’orchestraccia di Vianello, ma anche qualcuno nato dopo il 1980, per fortuna.
Il parco ospiti era un po’ meglio dall’altra parte, peccato una regia terrificante, inspiegabilmente terrificante, forse il freddo, chissà, e peccato anche che l’atmosfera sia sempre la stessa dai tempi del Festivalbar, che almeno era d’estate e le canzoni tutte hits e non c’erano “artisti” dalle cui esternazioni doversi dissociare.
Ma, quello che si vorrebbe sottolineare è che se ancora celebriamo questo rito tribale di passaggio che ci ostiniamo a continuare a compiere urlando in coro nel tinello o, peggio, sul balcone o per la strada come invasati in preda allo spumante, un conto alla rovescia che sistematicamente sfora, per poi far esplodere mani, dita, cani, gatti, vicini di casa, motorini e cassonetti come se stessimo vivendo l’ultimo giorno di vita del pianeta e se, nel caso, questo fosse l’intrattenimento musicale pre-morte che ci attenderebbe e questa l’offerta nonché “la migliore rappresentazione televisiva del Paese”, dovremmo prendere atto della povertà, del “paesanesimo”, del vecchiume dell’arretratezza culturale, musicale, cerebrale, che ci soffocano, che ci affossano, che ci deprimono. Dentro, fuori, in televisione, nelle istituzioni, nella testa di chi fa e di chi guarda questa roba superata, indegna e retrograda: ovunque.
Se quello che è andato in onda il 31 dicembre sulla televisione italiana ci rappresenta e rappresenta il Paese, prendiamone atto una volta per tutte: il Paese fa schifo.
di Romana Mercadante di A.