venerdì 9 novembre 2018
Roma è la Città Eterna. Ti perdi nei suoi vicoli, ne ammiri la bellezza millenaria, rifletto su quanto si è fortunati a vivere in questo pezzo di storia, ne apprezzi il dolce clima, il ponentino, le ottobrate, la cucina povera, quella della tradizione, quella contaminata dalle altre culture, un po’ meno quella soltanto contaminata, ma per quest’ultima ci sono i Nas. Insomma, anche se mi muovo facendo lo slalom tra i tombini intasati, ma questa è un’altra storia ed un altro articolo, bisogna riconoscerlo: Roma è godibilissima. Poi decido di ristorarmi ed entro in un bar, non importa dove, non importa in quale quartiere ed eccolo lì pronto ad azzannarmi come un cane inferocito: il rinnovamento profondo, la trasformazione integrale e radicale del costume, la palingenesi del “che prendi cara/o?”.
Magari a qualcuno potrà anche sembrare simpatico, senz’altro qualcuno potrà anche sentirsi “fico” se a pronunciare le fatidiche parole è una bella barista, gli si raddrizza la giornata, la giacca o il pullover cadono meglio. Magari qualche signora potrebbe perfino sentirsi lusingata se a pronunciare il “che prendi cara?” è un giovane avvenente a preparare il caffè, specie se il marito o il fidanzato cominciano a non notare di aver cambiato il colore delle unghie. Magari però se ne potrebbe fare a meno. Mi occorre solo un latte bianco con molta schiuma e cannella, un cappuccino d’orzo chiaro, al più una tea con latte freddo a parte o un cornetto vegano. Il massimo sarebbe ricevere quanto ordinato accompagnato da un sorriso spontaneo, vabbè anche solo un sorriso prodromico della mancetta. E invece mi “becco” la stucchevole mancanza di educazione, mimetizzata da disponibilità a prepararmi quel caffè e quel cappuccino con i migliori sentimenti, quelli puri, quelli autentici, quelli che solo il “che prendi cara?” non mi consente di apprezzare in pieno.
A quando una app che sul telefonino ci indica quei locali dove sedersi e prendere in pace il nostro caffè preferibilmente non bruciato? E se poi quel break non dovesse essere il massimo, poter cambiare locale al prossimo giro e magari raggiungere quella sensazione di piacevolezza, quella cenestesi che un buon caffè può dare, se non fosse accompagnato da quel segnale che attesta una caduta in picchiata della buona educazione e dello stile: “che prendi cara?”.
@vanessaseffer
di Vanessa Seffer