martedì 4 luglio 2017
Ogni estate c’è un tormentone musicale che si impone sulle spiagge. Quest’anno si aggiunge anche il tormentone Rai. L’azienda del servizio pubblico continua a riservare sorprese, polemiche, disparità di trattamento delle forze politiche e sociali e discussioni sui costi di alcuni programmi e le retribuzioni di alcuni big artistici e giornalistici. Il tormentone non riguarda soltanto gli 11,2 milioni di euro che il conduttore Fabio Fazio percepirà nei prossimi quattro anni di contratto: 2,8 milioni l’anno, a cui vanno aggiunte le voci legate alla produzione e al numeroso personale del cast del suo programma, “Che tempo che fa”.
L’estate Rai è iniziata con la brutta figura rimediata dalla rete ammiraglia durante la diretta del concerto-evento di Vasco Rossi al Modena Park, che ha registrato la presenza di oltre 220mila spettatori: al “Blasco”, i biglietti venduti hanno fruttato ben 13 milioni di euro. Lo spettacolo kolossal del “Comandante” del rock italiano non poteva essere trasmesso per intero. I vertici di viale Mazzini hanno pensato allora di affidare la conduzione della trasmissione a Paolo Bonolis, amico di Vasco, ma immagine di Canale 5. La prima domanda dei difensori del servizio pubblico: ma non c’era un altro giornalista-conduttore della Rai che poteva reggere le tre ore e mezzo di diretta? Perché Bonolis solo verso la fine della serata, dopo le proteste e gli insulti dei telespettatori sintonizzati da casa, è stato costretto a precisare che la Rai non poteva coprire l’intero evento? Chi ha progettato la serata dividendo musica e canzoni con interviste stantie e uno strano e dispersivo ping-pong tra palco e studio, dove Bonolis sembrava un pesce fuor d’acqua con camicia multicolor? La notte di Vasco a Modena è finita all’alba. Quella di viale Mazzini nell’ennesima delusione e nel dilemma se scelte di questo tipo rientrano o no nella missione del servizio pubblico.
Per il resto “ad abundantiam” con tutti i mega-stipendi senza alcuna riflessione sulla missione di un’azienda radiotelevisiva pubblica (azionista al 98 per cento è il Tesoro). Anzi, una “figata”, come recita il titolo del nuovo programma della campionessa paralimpica di scherma Bebe Vio e il doppio Gramellini del caffè della prima pagina del Corriere della sera.
Mamma Rai è per tutti? Così sembra. Confermati, dunque, i mega-stipendi, alla faccia del tetto dei 240mila euro lordi all’anno deciso dal Parlamento, ma poco rispettato anche in altre branche della Pubblica amministrazione. Le uniche voci interne alla Rai che si sono opposte a questo modo di gestire l’azienda del servizio pubblico sono state quelle dei consiglieri Arturo Diaconale e Carlo Freccero.
Servirebbe infatti una profonda riorganizzazione della struttura (tre reti, tre Tg generalisti, Rai News 24 con Televideo, sport, 21 sedi regionali per Tgr e radio locali), programmi doppioni dal mattino al pomeriggio fino alla notte. Manca un piano industriale dopo la bocciatura di quello dell’ex direttore generale Luigi Gubitosi e un progetto news dopo l’affossamento di quello di Carlo Verdelli, che si è dimesso. Bocciato il secondo direttore generale Antonio Campo Dall’Orto, promosso Dg il giornalista Mario Orfeo. Nominati direttori del Tg1 Andrea Montanari e del Gr Gerardo Greco. Tornati ai vertici operativi Luciano Flussi, Roberto Sergio, Paolo Galletti, collocati qua e là e spostati alcuni conduttori. Tolta però a Massimo Giletti “L’Arena” di domenica pomeriggio, che faceva registrare una media di 3,5 milioni di ascolto, compensato forse con altre trasmissioni. Ora viale Mazzini si lancia sulla strada del mercato. Respinte le critiche su cosa s’intenda per servizio pubblico, la Rai in realtà sta in piedi grazie al canone, che con la riscossione sulle bollette dell’energia elettrica ha scoperto 5,5 milioni di abbonati in più, passando dai 16,5 ai 22 milioni, con notevole abbassamento dell’evasione.
Fazio è un investimento in termini strategici, come osserva il consigliere ex segretario della Fnsi Franco Siddi? È vero che riconfermare “Che tempo che fa” consente un notevole risparmio alla Rai? E se ne sono accordi dopo 14 anni? Quale sarà il ritorno in termini pubblicitari dell’operazione?
L’unica cosa certa, per ora, è che circa 50 personaggi sono pagati da viale Mazzini oltre il tetto dei 240mila euro l’anno. Si va dai compensi superiori ai milioni di euro di Fazio, Carlo Conti, Antonella Clerici (3 milioni, in due anni), Flavio Insinna, Michele Guardì, Bruno Vespa, a quelli oltre i 500mila di Fabrizio Frizzi, Massimo Giletti, Loretta Goggi, Luciana Littizzetto, Giancarlo Magalli e Amadeus.
Particolari i casi di Bruno Vespa (1,8 milioni annui), che ha festeggiato il ventiduesimo compleanno di “Porta a Porta”, un programma d’informazione e non di varietà, con autori e giornalisti esclusivi e di Michele Santoro, che torna a Rai Tre, ma con un compenso di 2,7 milioni, pagato da una sua società di produzione.
Il paradosso sta proprio qui: l’azienda rimane ancorata al mercato come dice la presidente Monica Maggioni ma è pubblica. Per queste ragioni, l’Europa chiede alle tv pubbliche di separare i bilanci tra entrate con canone e introiti da pubblicità. Gli esempi sono i finanziamenti alla Bbc (165 euro di canone all’anno), alle due tedesche Ard e Zdf, a France 2 e alla spagnola Tve.
Il tormentone Rai dell’estate continuerà fino ai palinsesti dell’autunno e all’acquisto dei diritti televisivi per i grandi eventi sportivi (mondiali 2018 in Russia, Olimpiadi a Tokyo, calcio, ciclismo, rugby, nuoto).
La Rai è un’anomalia tra le tivù pubbliche in Europa, non solo per gli alti onorari agli artisti e ai giornalisti, ma anche per la pletora di trasmissioni in concorrenza tra loro. In Germania, invece, si arriva a una specie di tacita intesa tra pubblico e privato, per non spendere oltre misura, facendosi la concorrenza sleale.
Molti hanno voluto sminuire la portata della dichiarazione di Arturo Diaconale, secondo cui la firma del contratto di Fazio è stata condizionata dall’intesa del conduttore con un gruppo televisivo privato. Se così è non si tratta di concorrenza leale.
Già oggi la Rai vanta il primato in Italia in termini di ascolto e di produzioni: ha raggiunto il 36,7 per cento di share medio durante l’intera giornata tv nel 2016. Pur con un incremento complessivo dei proventi del canone (272 milioni di euro annui), la Rai ha chiuso il bilancio in attivo di appena 18 milioni, con la prospettiva che i nodi verranno al pettine nel 2018, per la riduzione dell’imposta sul televisore, da 100 a 90 euro. La salute economica di viale Mazzini sarà da monitorare e la politica di larghi esborsi per trattenere i big artistici non è la più saggia per un’azienda del servizio pubblico.
di Sergio Menicucci