martedì 23 dicembre 2025
Dalla Legge di bilancio 2026 ci si attendeva un segnale più netto di discontinuità, un’accelerazione capace di incidere sulla traiettoria economica del Paese. Al contrario, secondo Dario Peirone, direttore generale dell’Istituto Milton Friedman e docente di Economia e gestione delle imprese, ed Ezio Stellato, responsabile delle Politiche fiscali dello stesso istituto e professore di Diritto tributario, la Manovra si inserisce nel solco delle scelte già viste negli ultimi anni: un mosaico di piccoli interventi, ritocchi episodici e incentivi frammentati che distribuiscono consenso ma non modificano le condizioni strutturali del Paese. Misure che non sostengono la produttività, non accrescono la crescita potenziale e non rendono l’Italia più competitiva nel trattenere lavoro qualificato, investimenti e capitale umano.
In questo contesto, i due economisti individuano un unico elemento di vera innovazione: la presa d’atto della necessità di riequilibrare la spesa previdenziale. “È una politica che prova a tenere insieme tutto e finisce per non spostare nulla, lasciando invariata una pressione fiscale tra le più alte d’Europa. Dentro questo impianto emerge però un’intuizione corretta, quella sulla spesa previdenziale. Il riconoscimento che occorra riequilibrare le risorse a favore di giovani, famiglie e lavoro, e non continuare a concentrarle su rendite protette, va nella direzione giusta. Ma l’impostazione resta incompleta. I risparmi potenziali rischiano di essere assorbiti nel bilancio generale invece di tradursi in una riduzione strutturale delle imposte. Una riforma che riduce la spesa dovrebbe avere un obiettivo chiaro: abbassare il carico fiscale su chi produce reddito, non alimentare nuova spesa discrezionale”, hanno spiegato i due esperti.

La critica si estende anche alla nuova edizione della rottamazione, definita senza mezzi termini un passo falso. “In questo quadro la rottamazione quinquies rappresenta l’ennesimo errore di politica fiscale. È una misura che promette pace ma rafforza l’idea che convenga aspettare la prossima sanatoria, indebolendo la compliance e la credibilità dello Stato”. Oltre agli effetti distorsivi, i tecnici dell’Istituto Friedman richiamano l’impatto sul bilancio pubblico: la perdita di gettito è prevista sia nel breve sia nel medio periodo, mentre le attività produttive continuano a sopportare uno dei carichi fiscali più elevati in Europa. Un impianto che comprime equità ed efficienza e che non affronta la debolezza cronica del sistema di riscossione.
Da qui l’indicazione di un percorso alternativo, realistico e più coerente con le esigenze di finanza pubblica. L’Italia dispone di un patrimonio di crediti affidati alla riscossione che supera la soglia dei mille miliardi. Pur tenendo conto dell’ampia quota di difficile recupero, esiste una parte che potrebbe essere valorizzata attraverso strumenti di mercato. “Il paradosso è che l’Italia dispone di un margine di manovra molto più ampio di quanto si voglia ammettere Non si tratterebbe di un condono mascherato, ma della valorizzazione di asset pubblici oggi improduttivi”, sottolinea l’Istituto. Cessioni selettive, cartolarizzazioni circoscritte, governance controllata: un ventaglio di opzioni tecniche che, se orientate a un taglio fiscale permanente, consentirebbero di evitare la spirale delle sanatorie ricorrenti.
Un’impostazione che, tuttavia, richiede capacità politica, oltre che tecnica. “È evidente che operazioni di questo tipo pongono problemi tecnici e di finanza pubblica e richiedono grande attenzione. Ma è esattamente qui che serve politica economica. Selezionare i crediti effettivamente esigibili, costruire strutture compatibili con i vincoli contabili e destinare le risorse ottenute a un taglio fiscale permanente sarebbe una scelta molto più credibile che rinunciare a gettito con l’ennesima sanatoria. Invece di gestire il consenso nel breve periodo, si potrebbe costruire spazio per una riforma strutturale”.

Il nodo vero resta quello delle imposte. Il sistema non ha bisogno di piccoli bonus o di alleggerimenti marginali, ma di una revisione profonda e stabile della pressione sul lavoro e sull’impresa. Le simulazioni mostrano come gli aggiustamenti sull’Irpef tendano a beneficio anche dei redditi medi e medio-alti; dinamica che non rappresenta un’anomalia, se l’obiettivo è trattenere capitale umano e fermare l’erosione della base imponibile. La criticità, semmai, è l’assenza di una revisione incisiva delle aliquote marginali e di una strategia di crescita che accompagni la riforma fiscale. Una manovra credibile dovrebbe intervenire su un’Irpef ancora troppo punitiva sul lavoro e su un’Ires che incentivi investimenti, capitalizzazione, innovazione. In assenza di imprese solide, l’intero edificio del welfare diventa insostenibile. “La Legge di bilancio 2026 contiene alcuni spunti corretti, ma resta prigioniera di una logica non liberale, orientata più alla gestione del consenso che alla liberazione della crescita. L’alternativa è chiara. Basta sanatorie cicliche, utilizzo intelligente e selettivo del magazzino della riscossione e un taglio vero e permanente di Irpef e Ires. Non 200 euro l’anno, ma una riforma capace di cambiare davvero le decisioni di famiglie, imprese e talenti quando valutano se lavorare, investire e restare in Italia”, hanno chiosato i due esperti.
di Redazione