Conigli da tastiera: l’intervista a Isabella Tovaglieri

mercoledì 17 dicembre 2025


Insulti, minacce e gravi ingiurie, ma sempre da dietro uno schermo. Sono le ragioni della recente denuncia sporta dall’eurodeputata Isabella Tovaglieri. La prima nella sua carriera politica. A esserne oggetto sono giovani musulmani residenti in Italia, tra cui figura il rapper Baby Gang, e altri “leoni da tastiera” con l’accusa di aver offeso e denigrato ripetutamente la politica della Lega per le sue battaglie contro l’islamizzazione radicale nel nostro Paese. Ne parla lei stessa tramite i suoi canali social, facendosi portavoce di chi non tollera simili tentativi di prevaricazione sulla libertà di pensiero e di espressione.

“Ho deciso di denunciare perché offese e minacce non sono opinioni né critiche, e non rientrano nel normale confronto politico ‒ racconta la Tovaglieri ‒ Non è un dibattito, ma un tentativo di zittire una voce democratica. E questo non posso accettarlo, non per orgoglio personale, ma perché chi fa politica deve dare l’esempio e far capire che la legge vale per tutti, anche dietro una tastiera. Io mi aspetto che chi offende e minaccia sia chiamato a rispondere delle proprie azioni”.

Si tratta, purtroppo, di vicende consuete, specie agli occhi del grande pubblico digitale. Ma siamo, davvero, tornati a un’intolleranza tale da reprimere il pensiero alternativo invece di ascoltarlo? 

“Non c’è dubbio che negli ultimi anni si sia diffuso un certo conformismo culturale, soprattutto nei media e in alcuni ambienti accademici. Negarlo significa peccare di ipocrisia. Oggi chi esprime un pensiero diverso rispetto alla narrazione dominante viene troppo spesso etichettato, trattato con sufficienza o, peggio, accusato di fascismo, così da impedirgli di argomentare le proprie posizioni. Il paradosso è che i paladini del politicamente corretto e della cancel culture si sentono dalla parte giusta della storia, ignorando di essere invece la pedina inconsapevole di una delle peggiori dittature che minacciano il pensiero e la società umana”. 

A costituire un terreno fertile per un variegato vivaio di offese sono i discorsi tenuti dall’eurodeputata contro “l’imposizione di usanze islamiche medievali, come le manifestazioni della Ashura in piazza, dove le donne vengono confinate in recinti, la costruzione di moschee nelle nostre comunità, o la diffusione della carne halal e delle leggi della sharia”. Questioni oggetto di forti discussioni che, oggi, fanno parlare anche di remigrazione. Ma è davvero una soluzione? 

L’islamizzazione selvaggia è un’ipoteca sul nostro futuro, che mette a rischio sia la nostra identità culturale che la nostra sicurezza. Nessuno vuole rimandare nei Paesi d’origine gli immigrati perbene, che si sono integrati e che contribuiscono con il loro lavoro al benessere e alla crescita del nostro Paese. La remigrazione deve riguardare quanti rendono insicure le nostre città e disprezzano il nostro modo di vivere e le nostre leggi”.

I messaggi di chi la segue sui social mostrano un congruo supporto rispetto sia al suo impegno politico sia a quanto accadutole. Tuttavia, non mancano commenti più provocatori. “Hai contrastato un ragazzino (riferito al rapper), non ha fatto niente di male se non usare il linguaggio sbagliato”, oppure “trovate sempre il modo per attaccarlo o per farlo passare per quello sbagliato, è un adolescente, il vostro unico pensiero sono i musulmani e i nordafricani”. A rispondere è proprio lei.

“In questa vicenda non c’entra l’età, né la musica, né le origini. C’entra il rispetto delle regole. Quando un ragazzo – che sia un rapper famoso, uno sconosciuto, italiano o straniero – offende, minaccia o istiga certi comportamenti, non possiamo far finta di niente perché è giovane. I giovani vanno ascoltati, ma non giustificati a prescindere. Quanto alle accuse di essere contro i musulmani o i nordafricani, rispondo che chi rispetta le regole è il benvenuto, chi non le rispetta deve essere richiamato a farlo. Se un personaggio pubblico usa un linguaggio scorretto, è doveroso segnalarlo, perché i ragazzi lo seguono, lo imitano, e noi abbiamo l’obbligo di mandare messaggi chiari di legalità e rispetto. Non è attaccare qualcuno, è fare il nostro dovere”.

Nel mix di reazioni sotto i suoi video si leggono, in sfaccettate forme, anche insulti di stampo misogino. Isabella, a poco meno di un mese dal 25 novembre, non manca di osservare l’incoerenza di chi ne è autore, spesso coinvolto in movimenti femministi per una lotta di genere mitigata da interessi politici.

“Si ha l’impressione che si alzi la voce solo quando fa comodo o quando il bersaglio da colpire è quello giusto. Se l’aggressore è italiano ci si indigna contro il patriarcato, se è straniero si tende a far finta di nulla o a minimizzare, nonostante i reati sessuali compiuti da immigrati siano in preoccupante aumento. Eppure, la sinistra femminista chiude gli occhi in ossequio al politicamente corretto e anche per interesse elettorale. Se parliamo di tutela delle donne devono valere le stesse regole per tutti, senza filtri ideologici”.

È evidente che la lontananza fisica e il contatto con uno schermo chiudano i pensieri e le parole davanti all’empatia più facilmente di quanto accade in un confronto faccia a faccia. “Finora non è accaduto che qualcuno mi rivolgesse gli stessi toni dal vivo. Ma, spesso, accade che chi ha il coraggio di esporsi con le proprie idee incappi in interlocutori che rimediano alla carenza di solide argomentazioni con l’aggressione verbale”.

Sebbene, dunque, il pensiero critico e le obiezioni costituiscano uno dei pilastri di una società democratica, marchiare una persona con epiteti tutt’altro che eleganti va ben al di là del confronto civile.

“Ai leoni da tastiera voglio dire che, se proprio dovete usare il vostro tempo sui social, usatelo per qualcosa di utile: informatevi, ragionate, confrontatevi senza alzare i toni. Perché l’Italia non cresce con il livore digitale, ma con l’impegno reale”.


di Siria Santangelo