Recalcati, la violenza bolscevica e il paradosso del relativismo

venerdì 5 dicembre 2025


Lassalto alla sede torinese del quotidiano La Stampa non può essere derubricato a un incidente marginale. Ha riportato alla luce, con unevidenza che inquieta, una tradizione ideologica che nel nostro Paese non è mai stata davvero sciolta. In questo senso le parole di Massimo Recalcati su Repubblica del 1 dicembre 2025 colgono un punto essenziale. Quando scrive che “minimizzare questi episodi e non riconoscere il loro radicamento in una cultura comunista-bolscevica… sarebbe un errore”, egli non compie uniperbole polemica: richiama una continuità storica che spesso si preferisce ignorare. Condivido pienamente questa linea interpretativa. È vero che, per una parte della sinistra italiana, la democrazia non è mai diventata “lorizzonte insuperabile della vita collettiva”, come Recalcati osserva con lucidità. È altrettanto vero che lallergia” della cultura marxista più ortodossa nei confronti delle istituzioni liberali non fu mai una reazione superficiale, ma una componente strutturale del suo “dna” politico. Tale allergia, nel corso del Novecento, si è tradotta nella convinzione che il dissenso non sia un diritto, ma un ostacolo da rimuovere; ed è proprio questa eredità, spesso mascherata da moralismo progressista, che ora riaffiora nelle forme della violenza.

Recalcati ha ragione anche quando richiama la responsabilità dei “cattivi maestri”, di quegli intellettuali che forniscono un alibi teorico alla sopraffazione, insegnando che chi non è “allineato” merita di essere zittito, se necessario con la forza. È un punto decisivo. Prima ancora che nellaggressione fisica, la regressione antidemocratica si manifesta nella giustificazione culturale della violenza: quella sottile ma micidiale pedagogia che trasforma la critica in colpa e lavversario in nemico. Per questi motivi, il richiamo di Recalcati è del tutto condivisibile e gli esempi storici a sostegno sono di un’ampiezza sconfinata. E tuttavia, proprio nel punto in cui la sua diagnosi sembra più convincente, largomentazione di Recalcati lascia intravedere una semplificazione che merita di essere discussa. Quando egli sostiene che il marxismo ortodosso deriverebbe la propria impronta antidemocratica dalla sua appartenenza “a una filosofia dellassoluto come fu quella hegeliana”, egli compie unidentificazione che storicamente e teoricamente non regge. Karl Marx non è lerede pio di Georg Wilhelm Friedrich Hegel; ne è, semmai, il grande dissidente. Non vi è pagina del suo pensiero maturo in cui non riecheggi la critica a quellIdealismo che aveva trasformato la storia in un processo dello Spirito e la realtà in un travestimento del concetto. La famosa undicesima tesi su Ludwig Feuerbach – “i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi, ma si tratta di trasformarlo” – non è soltanto un appello politico: è la frattura con ogni metafisica dellAssoluto

C’è un punto, nellanalisi di Recalcati, che necessita di una distinzione più netta. Quando egli afferma che il marxismo ortodosso rimane “nellambito di una filosofia dellassoluto come fu quella hegeliana”, egli stabilisce una continuità che la storia del pensiero non autorizza. Marx non eredita lassoluto hegeliano; lo interrompe. E lo interrompe proprio nel luogo che Recalcati indica come decisivo: la concezione di una Verità che non ammette pluralità. È vero che il bolscevismo del Novecento si è nutrito di una visione ideologica chiusa, ed è vero che questa chiusura ha prodotto ciò che Recalcati chiama il “dna” anti-democratico della tradizione comunista. Ma questa eredità non deriva da una fedeltà allhegelismo. Al contrario: è la conseguenza dellabbandono di ciò che, nellidealismo, ancora riconosceva alla verità uno statuto indipendente dallazione.

Per questo, quando Recalcati iscrive il marxismo “nellambito di una filosofia dellassoluto”, egli sembra attribuire alla continuità con Hegel ciò che invece nasce dalla rottura con Hegel. Lhegelismo cercava un processo razionale che si realizza secondo una necessità concettuale; il marxismo cerca una necessità storica che si realizza attraverso la forza. Lassoluto hegeliano vuole comprendere; la prassi marxiana vuole trasformare. Sono due logiche non solo distinte, ma opposte. La questione decisiva non è allora leredità del marxismo, né la sua deformazione bolscevica. È limpianto più generale, che attraversa lintero nostro tempo, e che Recalcati sembra accogliere senza metterlo davvero in questione. Quando egli attribuisce la violenza alla pretesa di possedere una “verità incontrovertibile”, e la contrappone allo “spirito plurale e radicalmente laico” della democrazia, assume come evidente ciò che invece è lorigine stessa del disordine contemporaneo: lidea che la verità sia il problema e che la sua assenza sia la soluzione.

Ma una comunità che ritiene inesistente la Verità – una verità che non sia a disposizione del volere, che non possa essere superata, rovesciata, manipolata – è una comunità che si consegna inevitabilmente alla violenza. Non in modo accidentale, ma necessario. Perchéé se niente è vero in sé, se nulla possiede un valore intrinseco, allora nulla può valere più della forza che lo sostiene. Lazione non incontra più un limite che la trattenga; incontra solo altre azioni. E il conflitto non può essere risolto se non imponendo un risultato. Là dove non c’è verità, tutto è potenza. Così, ciò che Recalcati attribuisce alla “cultura comunista-bolscevica” come suo “dna anti-democratico, appartiene in realtà al destino più ampio di ogni pensiero che rinunci a un fondamento. Non c’è differenza, in questo, tra ideologia rivoluzionaria e relativismo democratico: entrambe negano che esista qualcosa che non possa essere travolto. E quando tutto può essere travolto, la violenza non è più una deviazione: è lunico gesto coerente. La convivenza umana, priva di un criterio ultimo, si riduce a un conflitto di volontà. E ogni volontà, quando non incontra un vero che la limiti, tende fatalmente a imporsi. Di fronte a questa evidenza, lopposizione tra fanatismo ideologico e pluralismo democratico, così come Recalcati la propone, appare insufficiente. Non è la presenza della verità a generare la violenza; è la sua negazione. La nostra epoca, che crede di aver emancipato luomo dalla verità, lo ha in realtà consegnato alla necessità di scegliere tra forze. E dove lunica misura è la forza, la violenza non è un rischio: è un destino.


di Claudio Amicantonio