giovedì 4 dicembre 2025
All’indomani della pandemia da Covid, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone (presidente del comitato militare della Nato) avrebbe dichiarato in un’intervista al Financial Times la pianificazione d’attacchi preventivi nei confronti della Russia. La domanda che l’uomo di strada si pone è, come mai queste dichiarazioni vecchie di qualche anno sono oggi state rimbalzate dalla cosiddetta “stampa istituzionale”? Solo ora destano imbarazzo tra parlamentari e giornalisti di sistema?
Soprattutto le dichiarazioni pare siano state fatte alla vigilia delle operazioni “Baltic Sentry”, iniziate nel 2023 come una sorta di “attacco preventivo Nato” alla Russia. Intervista certamente inopportuna, fatta in un periodo in cui Usa e Gran Bretagna erano d’amore e d’accordo sul fare la guerra alla Russia. Non è un caso che Cavo Dragone abbia fatto queste dichiarazioni azzardate al Finantial Times, quotidiano sorto quasi un secolo e mezzo fa per dare voce alla comunità finanziaria che regge le sorti della City di Londra: oggi è il quotidiano di una holding finanziaria giapponese con uffici in Gran Bretagna, Usa ed Ue continentale. Nel 2015 la multinazionale editoriale britannica Pearson trasferiva il suo pacchetto alla Nikkei: ma questo a noi interessa poco, invece incuriosisce il fatto che, le dichiarazioni dell’ammiraglio Cavo Dragone all’indubbio ventriloquo delle multinazionali britanniche vengano usate per gettare benzina sul fuoco, per verificare se l’Italia è pronta alla guerra.
Un po’ come avveniva tra il 1910 ed il 1911, quando lo stesso quotidiano britannico raccontava “the Italo-Turkish war” contro il “nazionalismo ottomano”: in pratica si scriveva preventivamente dell’annessione che poi l’Italia farà nel 1912 della Tripolitania, della Cirenaica, del Fezzan e del Dodecanneso; guerra coloniale che l’Italia si vedeva costretta a combattere per evidente mandato occulto britannico. L’evidenza storica dei fatti la certificava Giacomo Matteotti, raccontando che la Corona d’Italia muoveva guerra all’Impero Ottomano (ormai al crepuscolo) per conto degli Inglesi, che consentivano all’Italia la colonia di Libia a patto che non avessero fatto uso del petrolio: ne derivava la narrazione parlamentare sullo “scatolone di sabbia”, per occultare che i Savoia avevano rinunciato a ricerche minerarie sul territorio libico.
Oggi nemico di Londra si conferma solo la Russia, e svariati sono gli interessi londinesi sul non far terminare la guerra in Ucraina. A questo va aggiunto che, i poteri finanziari europei (controllati dai londinesi) non vorrebbero la fine del conflitto. Così in questo particolare momento, che vede Donald Trump raggiungere intese di pace con Vladimir Putin, dalle nebbie del Tamigi qualche vocina suggerisce alla “stampa istituzionale” di tirare fuori le inopportune dichiarazioni guerrafondaie di un ammiraglio italiano in servizio presso la Nato.
Anche oggi, come nel 1911, i parlamentari italiani si ritrovano in vistoso imbarazzo: visto e considerato che anche i cittadini più sprovveduti sanno dei contratti della Casa di Savoia con la Corona Britannica (e finanziari con la City): è noto che l’Italia sia avamposto mediterraneo di Usa e Gb, i primi hanno basi e accordi derivati dal trattato di pace, i secondi contratti che lo Stato italiano ha ereditato dalla Corona d’Italia. Che Londra stia cercando di mandare nuovamente l’Italia al fronte come nel 1911?
Ipotesi non tanto peregrina, visto e considerato che l’Italia di oggi ha una parte della classe dirigente che parla chiaramente di ragioni ed utilità della guerra, contrapponendosi ad un popolo che la guerra non la vuole; ben conscio che i pesanti costi peserebbero tutti sulla gente normale e senza alcun ritorno, proprio come avvenne con la Libia dopo il 1911. Potremmo considerare Cavo Dragone una sorta di ventriloquo delle élite che governano l’Occidente europeo: qualcuno sottolinea avrebbe potuto evitare di fare certe dichiarazioni, visto e considerato che i fatti parlano da soli, soprattutto la comunicazione rimane materia inopportuna per i militari. Il popolo è più scaltro di quel che si pensa, e non crede certo alle parole dei guerrafondai in conferenza stampa.
Noi italiani ci siamo un po’ tutti accorti che, in concomitanza con la pandemia, il rapporto tra popolo e potere è cambiato: durante i lockdown si è notata la maggiore militarizzazione del territorio, ma senza alcuna ricaduta positiva sulla sicurezza, senza alcuna deterrenza sul crimine. Lo scrivente ricorda che, dopo la pandemia iniziava la guerra: e si era tra amici in un bar nei pressi della romana piazza Vittorio, parlottando a voce forse un po’ alta contro l’idea che l’Italia vada in guerra. Nello stesso bar c’erano due o tre uomini vestiti di scuro, probabilmente facevano la scorta ad un pezzo grosso dell’esercito o dei servizi segreti: il soggetto che scortavano sortiva dal bar ed entrava in una vettura blu; quindi, due suoi uomini di scorta si avvicinavano a noi chiedendoci cosa facessimo a quell’ora nel bar, soprattutto perché parlassimo di certi argomenti. Era da poco passato il lockdown, scherzosamente chiedevamo loro “ora volete anche i nostri documenti?”. E uno dei due in scuro: “Ora quelli che abbiamo visto parlare male dell’esercito ci favoriscano i documenti”. A nulla è servito spiegare loro che parlavamo male della guerra, non certo dei militari: hanno preteso i nostri documenti, si sono segnati che eravamo in quel bar a quell’ora di quel giorno e a parlare male del potere.
Eppure, la pax romana, il periodo di pace più lungo che ricordi l’umanità, iniziato nel 27 .C. e terminato nel 180 d.C., cominciava perché Augusto era ben consigliato, perché ascoltava consiglieri di potere molto saggi, che spiegavano come Roma avesse sconfitto la barbarie soprattutto grazie alla sua organizzazione, all’economia, all’amministrazione. La pax romana permetteva di abbassare i costi di produzione, di lastricare strade, fare acquedotti e fognature, garantire l’istruzione e la fruizione pubblica dell’arte. Chi viveva di lavoretti e carità veniva lasciato in pace, quindi non aveva ragione di parlar male del potere.
Certi che le parole dell’ammiraglio Cavo Dragone siano state opportunamente manipolate e strumentalizzate, s’invita comunque il potere a leggere l’Eneide. L’opera di Virgilio aiuterebbe tanti “patrioti europei” a comprendere ed attualizzare il messaggio di Augusto, ovvero le fondamenta di Roma sono nella pace, nella tradizione che vuole in Italia sia stata seppellita una metaforica spada di Priamo. Quindi attualizzare la “pietas” come forma di rispetto che i più fortunati al potere devono al popolo di Roma. Far tornare di moda il messaggio di una Roma neutrale in ogni guerra ed impermeabile ad ogni istigazione alla violenza di parte. Una Roma proiettata nel Mediterraneo, e non eterodiretta da un signore che vive tra le nebbie e si chiama Rutte, erede di Stoltenberg alla segreteria della Nato. Perché “prepararsi a veder morire i giovani per l’Unione Europea” è stato il messaggio dei capi Ue che ha nuovamente messo il popolo su barricate opposte al potere.
di Ruggiero Capone