venerdì 14 novembre 2025
All’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle per mano di Al Qaeda le categorie alle quali ricorrevano quasi tutti gli opinionisti erano quelle esplicitate nel 1993 da Samuel Huntington nel suo studio sullo “scontro di civiltà”. Paradigmi che risultarono fondamentali per interpretare quanto accadde nelle tante stragi che insanguinarono le città europee negli anni a seguire.
In questi giorni, viene ricordata una delle azioni di maggiore ferocia compiuta dai terroristi islamici in Francia il 13 novembre 2015. L’attentato nella sala concerti Bataclan costò la vita a 90 persone; l’attacco faceva parte di una serie coordinata di altri assalti in varie zone di Parigi. Alla fine della mattanza si contarono 130 vittime e centinaia di feriti. L’attentato fu rivendicato con tracotanza dall’Isis.
Intanto, negli ultimi anni parlare di “scontro di civiltà” fra Occidente e mondo islamico è divenuto appannaggio di una minoranza di commentatori. Sembra che quel conflitto non sia mai esistito e che non siano scaturite dalle viscere della cultura islamica le stragi commesse a Parigi, a Bruxelles, a Londra, a Nizza, a Monaco e in tanti altri luoghi. È accaduto che in nome del politicamente corretto è stato abbandonato il politicamente rischioso.
I fatti, però, procedono indipendentemente dal mainstream intellettuale e mediatico. Le aggressioni, meno eclatanti di un tempo, continuano come dimostrano le notizie di violenze che giungono da molte città europee. La verità è che l’alta tensione fra cultura islamica e valori occidentali è rimasta tale. Occorre prendere contezza che si è solo trasformata. Accanto alle armi, mai comunque abbandonate del tutto, è in atto una potente strategia di penetrazione culturale in tutto il mondo occidentale, in particolar modo in Europa.
Gilles Kepel, uno dei più autorevoli studiosi del jihadismo, sostiene che l’Occidente ha perso non perché sconfitto sul piano militare, ma perché ha sventolato la bandiera bianca sui propri valori. “Il jihadismo ˗ scrive ˗ non è solo una forma di violenza, ma è un sistema di pensiero che occupa il vuoto lasciato da società che non credono più in nulla”. In tal senso, si tocca il nervo scoperto dell’Occidente, che, a conclusione del processo di secolarizzazione, si è trovato privo di simboli identitari. Il filosofo francese Rémi Brague, in Le Règne de l’homme, ammonisce, con una certa malinconia, che “l’Occidente non sa più perché esiste e dunque non sa più come difendersi”. Per farlo, occorre riscoprire la grandezza dei princìpi su cui si è formata la civiltà occidentale. Il che richiede coraggio e impegno, per ridare forza a valori quali la libertà di pensiero, la dignità individuale, la laicità e l’uguaglianza dei punti di partenza. Questi gli scudi con i quali combattere coloro che intendono imporre, in nome di una confessione religiosa, una visione totalizzante della società. In caso contrario, non resta che rassegnarsi alle amare parole di Gilles Kepel: “L’Occidente ha già perso”.
di Francesco Carella