martedì 4 novembre 2025
“Sarà una battaglia durissima perché, in perfetta coerenza con l’era della post-verità, è palese che il tentativo del fronte del NO è quello di spostare l’oggetto della contesa referendaria dai contenuti reali della riforma”. Inizia così la nostra chiacchierata con l’avvocato Massimiliano Annetta, tra i fondatori del comitato per il SI al Referendum per la Giustizia, dal nome “SìSepara”, della Fondazione Luigi Einaudi.
Avvocato Annetta, perché è così preoccupato?
“Perché è evidente il tentativo di propinare alla pubblica opinione, che non sa nulla di ordinamento giudiziario, in una sorta di truffa delle etichette, la falsa verità che con questa riforma si voglia imbrigliare la magistratura sottoponendola al Governo. Non è così! Nella riforma l’indipendenza della magistratura è scritta lì dove è sempre stata (“Articolo 104 – La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”). Nei due nuovi organi creati, Csm per i pubblici ministeri e alta corte per gli aspetti disciplinari, i magistrati sono in netta maggioranza, mentre le nomine di provenienza parlamentare sono in nettissima minoranza (articoli 104 e 105);
I magistrati continuano a decidere le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni che li riguardano (articolo 105). Restano invariate le altre norme a garanzia dell’indipendenza (articoli 101, 107, 108). Questo lo stato dell’arte (o meglio, delle norme introdotte con la riforma). Peraltro, chi sostiene che con la riforma si scombussola l’impianto costituzionale, in realtà non tiene conto del fatto che è la stessa Costituzione, all’articolo 138, a prevedere la possibilità di essere modificata, come è, peraltro, avvenuto numerose volte in passato. Inoltre, prevedendo la riforma che il giudice e il pubblico ministero siano separati, si realizza proprio quanto previsto dalla nostra Costituzione, che all’articolo 111 prevede che il processo si deve celebrare davanti a un giudice terzo e imparziale.
E allora, perché è così preoccupato?
Telegraficamente: perché la magistratura non è molto amata dagli italiani, ma i magistrati sanno che, se possibile, la politica lo è ancora di meno. Inoltre, pensano di potersi giovare della politicizzazione della contesa trasformandola in una sorta di referendum sulla figura di Giorgia Meloni. E quando nel dibattito pubblico si inizia ad evocare lo spauracchio della politica che vuole sottomettere il suo controllore, storicamente il giochino funziona.
E come si fa ad uscirne?
Facendo la fatica di riportare il dibattito a quello che la riforma dice davvero, anche a costo di apparire tediosi come probabilmente sono apparso io nella mia risposta precedente. Purtroppo il diritto è nemico delle semplificazioni.
Ma perché la magistratura avversa così la riforma?
È evidente se non ci si fa abbagliare da fumisterie ideologiche. La magistratura teme unicamente il sorteggio dei componenti del Csm e dell’Alta Corte. Lo temono le correnti perché azzera il loro potere di controllo interno, e ho l’impressione che lo temano anche i singoli magistrati che hanno il timore di perdere gli innegabili agi di un sistema tutto sommato clientelare come dimostra la vicenda Palamara.
Da ultimo, teme che si sia formata un’alleanza tra il Pd e l’Associazione nazionale magistrati sul referendum?
L’alleanza mi pare evidente, ma a mio avviso non porterà bene né al Partito democratico né alla magistratura. Al Pd perché, con grande miopia, regala alla destra la battaglia per allineare l’Italia alle democrazie più evolute (ndr. solo Turchia e Bulgaria hanno un sistema di unicità delle carriere equiparabile a quello italiano), e, quel che più mi interessa, alla magistratura, che rischia di compromettere per lungo tempo la propria immagine di imparzialità.
di Stefano Cece