La manipolazione culturale nell’era digitale

martedì 28 ottobre 2025


Dividi et impera è la nuova modalità con cui in Italia si fa politica, grazie anche ad un decadimento culturale generale della classe politica, ma in particolare dell’attuale opposizione, anche se a volte mi sovviene il dubbio che è comodo essere ignoranti per non pagare il dazio della responsabilità.

Questa polarizzazione della politica sta infettando il Paese: qualunque argomento non è elemento di confronto e/o di possibili convergenze nell’interesse del bene comune o di un possibile senso dello Stato, ma elemento divisorio che produce la tipica tifoseria identitaria che è l’ossigeno che alimenta la furia ignorante del qualunquismo popolare. Gli artisti di questo imbarbarimento son gli pseudo giornalisti intellettuali, che grazie ai media e ai talk show hanno espropriato i politici e la politica del suo ruolo di orientamento e di progettazione del futuro.  L’agenda politica viene costruita non sui bisogni del Paese, ma sugli argomenti che hanno una forte caratterizzazione emotiva che favoriscono la polarizzazione che obnubila: la realtà, la logica, il pensiero critico.

Gli esempi sono molteplici: confondere un massacro con un genocidio, favorire l’antisemitismo mediante il conflitto con Hamas, offendere o provocare l’avversario con l’obbiettivo di definire una eventuale risposta come cultura dell’odio, utilizzare termini infamanti, funzionali per disegnare e propagare una falsa realtà, alfine di mobilitare il loro ristretto elettorato di militanti con la paura del fascismo o la fine della democrazia.

Questa tattica sfrutta la leva emotiva per sviluppare una forma di autoritarismo subliminale (non percepito come tale) contro gli avversari, i quali vengono percepiti come nemici privi di diritti (poiché non conformi al loro pensiero ritenuto corretto). Tali avversari vengono bollati come “fascisti” o addirittura “non umani”. Chi agisce così non riconosce il danno arrecato alla democrazia, credendo di incarnare la democrazia stessa, in quanto il loro pensiero è la democrazia per antonomasia.  

Quando la politica dell’opposizione assume il No a priori come elemento che dà senso alla sua azione politica mediante la polarizzazione, può determinare inconsapevolmente danni irreversibili alle istituzioni democratiche. Un ultimo esempio di questa follia politica è il confronto scontro che si è consumato in Europa sulla modifica del metodo decisorio del Consiglio dei Capi di Stato e dei Capi di Governo: essi decidono generalmente per consenso, ma in alcuni casi può votare all’unanimità o a maggioranza qualificata a seconda della materia. Le decisioni che prevedono l’unanimità sono:

1) la politica estera e di sicurezza comune (Pesc)
2) l’adesione di nuovi Stati membri all'Unione europea
3) la sospensione dei diritti di voto di uno Stato membro
4) le finanze dell’Ue, inclusi il quadro finanziario pluriennale
5) l’armonizzazione della legislazione nazionale in materia di imposte indirette e sicurezza sociale.

Questa volontà di togliere il diritto di veto ai singoli stati viene presentata come il favorire il principio democratico, scelta che il governo italiano, insieme ad altri stati, non ha condiviso. Anche su questo la cosiddetta sinistra ha trovato modo di fare polemica. Non si tratta di affermare un principio di sovranismo nazionale, ma di garantire la sovranità dei singoli parlamenti, e dei loro legittimi interessi, finché non si realizzino gli Stati Uniti d’Europa. Non si può delegare ad una forma burocratica decisioni che competono ai cittadini europei, ad una Unione che non risponde né al Parlamento europeo né ai singoli Parlamenti europei, i quali, il più delle volte, si trovano ad approvare o, meglio, a ratificare decisioni prese dalla Commissione europea.

C’è una deriva culturale antidemocratica in Occidente che si esprime come democratica, si utilizza la morale per sovvertire le regole democratiche condivise e si richiede il rispetto delle stesse quando invece esse si devono applicare ai propri amici o parte politica. Questo strabismo democratico si realizza con il combinato disposto dei media e social che orientano, polarizzando, il confronto politico in scontro politico costante.

Quella che noi oggi chiamiamo sinistra è l’involuzione culturale del vecchio Partito Comunista, il quale certamente, era portatore di una cultura autoritaria, ma aveva anche un forte senso dello Stato che ha sviluppato all’interno degli accordi di Yalta.  Con il venir meno del comunismo sovietico, e dunque dei finanziamenti e del ruolo all’interno del sistema politico italiano, nel riposizionarsi, invece di scegliere il socialismo democratico, decidono di accreditarsi a livello internazionale sposando le tesi della finanza che supporta i democratici americani e dunque, praticare nei fatti, politiche neoliberiste (le privatizzazioni e la svendita delle aziende pubbliche), presentandoli, grazie alla stampa amica, come efficienza del sistema democratico, dichiarandosi paladini di una nuova visione della cultura liberale.

In questa involuzione culturale costante si abbandonano le battaglie per la giustizia sociale o equità sociale per diventare i paladini delle battaglie sui diritti civili, ma essendo di cultura illiberale gli stessi diritti civili vengono trasformati in ideologia e imposti come una clava contro chi dissente dal loro modo di realizzarli. La stessa involuzione avviene dentro il Pd, da ex Partito Comunista che regolava la sua democrazia interna mediante il centralismo democratico (un ossimoro), si arriva gradualmente ad un partito senza regole democratiche tradizionali, utilizzando, anche, al proprio interno la finestra di Overton con la realizzazione delle Primarie: imitazione di quelle americane, ma senza le regole americane.

Vengono presentate ai propri iscritti come un ampliamento della democrazia dentro il Partito, un Partito che si apre alla società, ma nei fatti è una vera e propria delegittimazione degli iscritti: la militanza viene svuotata di senso, ridotta a orpello, mentre il diritto di eleggere il segretario ‒ che spetterebbe agli iscritti ‒ viene di fatto espropriato dalle primarie. In questo modo il partito non è più una comunità politica, ma un terreno di caccia per lobby e comitati di potere organizzati. Ho sempre avuto un dubbio, se il travaglio per il loro nuovo nome da Pci, Pds, Ds oggi Pd, è un retaggio della vecchia filosofia comunista dove aggiungevano il termine democratico per “conformarsi” o emulare i partiti democratici occidentali o un patto di sudditanza/lealtà verso il Partito Democratico Americano, come era una volta al Partito Comunista Sovietico.

Questa deriva va contrastata con un nuovo sistema elettorale che impedisca la polarizzazione e favorisca la rinascita delle comunità politiche che liberamente decidono le alleanze, ovviamente faccio riferimento ad un ritorno del proporzionale senza sbarramento e vincoli di alleanze al primo turno e al secondo si valutano le alleanze in base ai contenuti, supportandolo con un ritorno del finanziamento pubblico. Credo che, se fossimo nella Prima repubblica il campo largo non potrebbe esistere essendo una aggregazione politica non di governo, perché in essa predomina il tutto e l’opposto del tutto, in politica estera, politica sociale ed economica, ed è la rappresentazione plastica della tossicità di questa “sinistra” politica senza responsabilità, ed essa è si un vulnus alla democrazia, alla quale serve una sinistra democratica che oggi non c’è. Per paradosso hanno creato le condizioni di ricreare un centro destra che sarà simile alla vecchia Dc.


di Roberto Giuliano